RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Stiffelio

alla Fenice di Venezia

Il Teatro La Fenice sta sviluppando una programmazione atta alla riproposta del repertorio operistico denominato “Primo-Verdi”, con composizioni del periodo 1839-1850. Nell'attuale stagione è stata allestita una nuova produzione di Stiffelio. Dopo Luisa Miller, eseguita a Napoli, Verdi cominciò a cercare nuovi soggetti per le future opere. L'attenzione si pose sui drammi che poi divennero Rigoletto e Il Trovatore, contemporaneamente chiese suggerimento a Francesco Maria Piave per un nuovo soggetto e questi consigliò Le Pasteur di Emile Souvestre e di Eugène Bourgeois, cui seguì l'entusiasmo del compositore anche in vista del contratto con il Teatro di Trieste dove sarà rappresentata nel novembre 1950 con il titolo di Stiffelio. La trama è sicuramente moderna, forse troppo per l'Ottocento, un prete coniugato che ritiene cristiano il perdono dell'infedeltà coniugale. Non fu facilmente compreso e accettato tale soggetto dai pubblici italiani oltre alle scontate difficoltà con la censura. La scena finale ove il prete cita il vangelo fu considerata blasfema, e non si accordò permesso alla moglie di confessare il peccato al proprio marito. Significativo il commento di un critico che definì la partitura “un lavoro filosofico e insieme religioso nel quale i canti dolci e affettuosi si adattano alla vicenda senza far uso di bande, cori e sforzi sovrumani di polmoni”. Verdi stava trovando la sua strada poetica, la quale si può affermare che inizia con Luisa Miller e troverà affermazione con la successiva trilogia romantica. Stiffelio è una via di mezzo ma segna un'incisiva maturazione, il compositore fu particolarmente legato all'opera, anche perché fu spesso rappresentata mutilata per ordine della censura perdendo il suo spessore, e in seguito elaborò un rifacimento che avrà per titolo Aroldo (1857). Tuttavia, Stiffelio, seppur non perfetto, con la singolare drammaturgia e lo scavo psicologico dei personaggi, penso non abbia meritato l'oblio cui fu sottoposto per molti lustri. È con plauso che oggi, seppur limitatamente, sia rientrato nel novero delle composizioni che suscitano interesse sia nel pubblico sia nelle programmazioni teatrali.

Delude lo spettacolo di Johannes Weigand, con scene e luci di Guido Petzold e costumi di Judith Fischer, senza però creare danni enormi. La regia era enigmatica e probabilmente andava ricercata in concetti psicologici che a chi scrive non sono giunti. L'adattamento spoglio e poco intimistico non contribuiva al meglio, esagerato il funereo e tetro clima adottato, cui mancava una gestualità espressiva drammaturgica. In scena dominava una parete-murale, o forse una cancellata, la quale non individuava il clima intimo e forse borghese nel cui ambiente si sviluppa la vicenda, oltre alla confusa presenza di una specie di torre-pulpito con faro accecante nel centro del palcoscenico. Apprezzabili i costumi storicamente appropriati.

Sul podio c'era Daniele Rustioni che dopo I Masnadieri coglie un personale successo in queste partiture del primo Verdi. Il direttore è ben conscio delle imperfezioni dell'opera ma con mano esperta risolve la difficile prova scavando nei colori orchestrali, mettendo in luce le pagine più riuscite con ritmo incalzante e un ammirevole parallelo tra orchestra e palcoscenico. Rustioni da forza e convincimento allo spartito e magistralmente riesce a sopperire anche alle lacune di una parte del cast per personale impeto e narrazione drammaturgica soprattutto nel II e III atto.

Stefano Secco, il protagonista, riesce a ritagliarsi un particolare successo in un ruolo molto sfaccettato nel quale l'uso del fraseggio la fa da padrone. Sicuro in un canto non sempre perfetto, è tuttavia capace di trasmettere i sentimenti del personaggio attraverso una vocalità controllata, ma non sempre, e in un accento credibile.

Juliana Di Giacomo ha una voce bellissima e di robusto corpo tipicamente drammatica e adatta al ruolo, peccato che l'imperizia tecnica non le permetta di esprimersi come dovrebbe, e con tali mezzi! L'intonazione è sovente precaria e il registro acuto generalmente fisso sfocia sempre in un grido malfermo.

Dimitri Platanias non possiede le caratteristiche del nobile baritono verdiano e spreca la sua parte in un canto rude e sopra le righe. Più azzeccato il Raffaello di Francesco Marsiglia, tenore di buona impostazione cui si può sommare anche Simon Lim che disegna un credibile Jorg ma povero di colori. Ottime le parti di fianco che erano interpretate da Cristiano Olivieri, Federico, e Sofia Koberidze, Dorotea.

Teatro pieno in ogni ordine di posto, buon successo al termine per tutta la compagnia.

 

Lukas Franceschini

7/2/2016

Le foto del servizio sono di Michele Crosera – Teatro La Fenice.