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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


«La migliore e più completa delle mie opere»

La Terza Sinfonia di Mahler

al Teatro Regio di Torino

 

Gemella della Seconda per grandiosità e profondità di contenuti, analoga, sebbene diversa, per personalità e organico, la Terza Sinfonia di Gustav Mahler, composta fra il 1893 e il 1896, intende celebrare, nelle intenzioni dell'autore, la natura, il creato: una cosmogonia che, dalla materia inanimata del primo movimento, procede via via, per gradi di complessità sempre maggiori, fino all'uomo e oltre, fino agli angeli (quinto) e a Dio (sesto movimento). Venne definita dall'autore stesso «la migliore e più completa delle mie opere». Di fatto, è la sinfonia più lunga mai scritta finora: 95-100 minuti in media. E lo sarebbe stata anche di più, se Mahler non avesse espunto il settimo movimento, che andrà a costituire il finale della Quarta. Ma la lunghezza non è fine a se stessa, e neanche l'eterogeneità dei mezzi fonici impiegati: vi è nella concezione mahleriana delle sinfonie l'intento di dare di volta in volta una visione del tutto, delineando un percorso che da un inizio conduca a una fine. Qui se ne hanno le estreme conseguenze. «[…] Il primo movimento dura mezz'ora, è una forma di Rondò combinata con quella di Sonata, ma pluritematica: l'ossessione della Marcia, propria dell'Autore, introduce in qualcosa ove il mondo stesso della Natura pare depositarsi, e questo movimento ha volutamente qualcosa di eteroclito tanti sono gli oggetti viventi che lo compongono. L'orchestra è di numero sterminato e le percussioni in tutta la Sinfonia sono estese e con ruolo solistico. Il secondo movimento è un allucinato Minuetto in parte arcaizzante. Nel terzo una cornetta esterna fa giungere sul tessuto orchestrale diafano una lenta melodia pacificatrice paragonabile al Silenzio militare. Nel quarto un contralto solo intona una sublime poesia che Federico [sic] Nietzsche mette in bocca a Zarathustra […]. Il quinto vede il coro infantile e quello femminile in una poesia tratta dall'antologia di Arnim e Brentano Des Knaben Wunderhorn, Il corno magico del fanciullo […]. La Sinfonia si chiude con un oceanico Adagio che raggiunge un'acmè centrale ma che altrimenti scorre con sublime (ripeto l'aggettivo) placidità: rappresenta la riconciliazione dell'Essere con se stesso in quella che è la più bella Natursymphonie, ossia Sinfonia della Natura, mai scritta» (Paolo Isotta, Corriere della Sera, mercoledì 22/05/2013).

A Torino, la Terza Sinfonia di Mahler è andata in scena al Teatro Regio giovedì 22 gennaio 2015. Sotto la direzione di Nicola Luisotti, dal 2009 Direttore musicale dell'Opera di San Francisco, l'Orchestra del Teatro Regio (allargata a ben centouno elementi) ha dato vita a questo miracolo musicale, validamente coadiuvata da Annely Peebo, mezzosoprano, dal Coro del Teatro Regio (le sole voci femminili, dirette da Claudio Fenoglio) e dai due Cori di voci bianche del Teatro Regio e del Conservatorio «Giuseppe Verdi» di Torino.

Alcune perplessità sono sorte nella prima metà del primo movimento, in cui l'indicazione Kräftig, entschienden (Con forza, deciso) è sembrata travisata in favore di una lettura più morbida, maestosa senza dubbio, ma d'una maestosità compiaciuta e paciosa, laddove il ritmo di marcia e l'agogica avrebbero imposto una direzione più risoluta, più determinata. Poco male: nel prosieguo del movimento questa determinazione non ha tardato a farsi sentire, fugando le perplessità e regalando emozioni a profusione nella continua, proteiforme varietà del gigantesco affresco musicale sempre in divenire (secondo le intenzioni programmatiche di Mahler, poi abolite, questo movimento si intitolava «Pan si sveglia: arriva l'estate»). Al termine, però, non è stata rispettata la lunga pausa di almeno cinque minuti prevista dall'autore (molto spesso si tende, ai concerti, a sottovalutare l'importanza delle pause e del silenzio: non stupiamoci se poi un anticonformista come John Cage abbia scritto, per provocazione, un “brano” come 4'33'').

L'adesione alle intenzioni del compositore è parsa invece maggiore nel secondo e nel terzo movimento, con funzione analoga al Minuetto o allo Scherzo di una sinfonia normale (tenuto conto del fatto che un organismo come la Terza di Mahler è tutto tranne una sinfonia normale!): si tratta di «Ciò che i fiori del prato mi dicono» e «Ciò che mi dicono gli animali del bosco» (quest'ultimo nato come rivisitazione strumentale di un Lied composto precedentemente, Ablösung im Sommer, sempre tratto dal Wunderhorn); dalle rocce, dalle cascate e dalle montagne del primo movimento si è passati alla vita vegetale e poi alla vita animale. Al terzo movimento, anziché il corno da postiglione fuori scena chiesto da Mahler (in partitura è scritto Posthorn in B, cioè in si bemolle), è stato impiegato un flicorno soprano (solista: Paolo Paravagna), o almeno così è sembrato quando, al termine della sinfonia, è comparso in scena per gli applausi.

Annely Peebo, chiamata ad interpretare la lirica di Nietzsche O Mensch! Gib acht! nel quarto movimento («Che cosa mi racconta la notte (l'uomo)»), ha concentrato tutta la gravitas del testo in un'interpretazione raccolta e solenne, fedele all'indicazione Misterioso in partitura; l'orchestra, stupefatta, ha sussurrato il suo accompagnamento attorno alla voce, esaltandone il timbro scuro, penetrante e vibrato, avvolgendola in una «soffice garza» (Virginia Woolf) come in spire d'incenso, quasi fosse una pizia intenta a pronunciare un oracolo dall'oscurità di un tempio greco.

Eterei e leggeri, invece, i cori nel quinto movimento («Che cosa mi raccontano le campane del mattino (gli angeli)»): quello femminile, che interpreta la voce narrante e le anime beate che invitano Pietro (mezzosoprano/contralto, qui sempre Annely Peebo) ad abbandonarsi all'amore di Dio, e quello di voci bianche, che intonano onomatopeicamente il suono delle campane (Bimm, bamm) assieme alle campane tubolari in orchestra, qui strategicamente poste accanto ai bambini, e talvolta anche assieme al glockenspiel. Siamo vicini al cielo, anzi, ci siamo già: eppure è ancora possibile salire. Sesto movimento: «Quel che l'amore (Dio) mi racconta»: a questa altezza le parole non servono più, perché quel che qui Mahler vuole esprimere «è tanto, che [il linguaggio] non basta a dicer “poco”»: e allora, ecco dipanarsi l'Adagio conclusivo, qui interpretato con un'attenzione particolare a non far mai calare la tensione, cosa possibile nei movimenti lenti di questa durata (e di questa densità: nella prima parte, tutti gli archi, a parte i contrabbassi, procedono divisi, per un totale di una scrittura a nove parti, solo per gli archi…). Non si cammina più, ci si libra nell'aria, ma dall'alto è ora possibile volgere uno sguardo al mondo: qua e là fanno capolino cenni del primo movimento: l'alfa e l'omega che si toccano, l'eterno ritorno, la chiusura del cerchio. Una lieve diacronia dei due timpanisti, su uno degli ultimi, poderosi colpi di timpano (di cui si sarebbe ricordato Šostakovic nel finale della sua Quinta Sinfonia) ha lievemente deconcentrato l'ascoltatore, ma è l'unico neo di un'esecuzione praticamente perfetta; e dopo l'ascolto dal vivo di una tale sinfonia non si può più guardare il mondo con gli stessi occhi!

Christian Speranza

3/2/2015