RECENSIONI
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Vienna

Così sì

Tosca, ancora una volta. Con una piccola differenza: che a cantarla erano tre bravissimi protagonisti in un allestimento creato per la Tebaldi nel lontanissimo 1958 dalla Wallmann – ancora regge bene seguendo le linee tradizionali con delle bellissime scene di Nicola Benois – e diretta bene, qualche volta un po' forte, da un iperattivo Marco Armiliato che però si calmava dopo il Te Deum dell'atto primo. Orchestra e coro, preparato questa volta da Martin Schebesta, si mostravano in buona forma e tra i comprimari era un po'debole solo il Sagrestano di Alexandru Moisiuc, mentre parecchio bravo risultava l'Angelotti di Sorin Coliban.

La serata però era dei cantanti. Carlos Álvarez debuttava Scarpia. Se il personaggio veniva tratteggiato in una forma parecchio convenzionale dal punto di vista vocale tutto era a posto: voce sana, omogenea, senza tensioni. Nina Stemme ritornava dopo molto tempo al ruolo della diva. Stanca nell'ultimo atto dove gli acuti più difficili erano duri e piuttosto senza controllo, nei primi due, tranne qualche occasionale nota metallica, dimostrava non solo che indubbiamente Puccini doveva avere ragione quando prediligeva tra tutte le interpreti della Tosca la Jeritza – cantava come lei il “Vissi d'arte” seduta sul divano e la cantata finalmente si sentiva come un tempo – ma che è ancora capace di belle mezzevoci e di una convincente interpretazione.

La serata però apparteneva a Piotr Beczala, che una settimana dopo questa recita veniva insignito del titolo di Kammersänger, un'onorificenza certamente meritata questa volta... È chiaro che è il favorito o uno dei favoriti del pubblico viennese ma anche qui è il frutto di un lungo e serio lavoro lontano da ogni frivolezza durante molti anni. Se gli acuti sono lucenti, ancora più interessanti e belli sono i piani e certe espressioni e momenti di raccoglimento – per cui personalmente più che “Vittoria!” o “La vita mi costasse!” ho trovato superlative le due arie, il grande duetto e “O dolci mani”. Richiesto il bis come in tutte le recite precedenti o posteriori dopo un'ovazione interminabile, “E lucevan le stelle” risultava lontana da ogni effetto o effettaccio, entrambe le volte una versione perfetta e sognante – un amico diceva che ‘disciogliea dai veli' era un momento altissimo di puro belcanto. Alla Scala continuano a pensare chi sarà il Cavaradossi del prossimo Sant'Ambrogio, e probabilmente sarà vero che un tenore della classe di questo non possa essere per il palato di alcuni, loggionisti e non.

Jorge Binaghi

1/7/2019

La foto del servizio è di Michael Pöhn.