RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Un giorno di regno ossia Il finto Stanislao

al Festival della Valle D'Itria 2017

Il dramma giocoso in due atti Un giorno di regno ossia Il finto Stanislao di Giuseppe Verdi su libretto di Felice Romani, che ne trasse l'argomento da una commedia di Pineux Duval, ebbe la sua prima rappresentazione al Teatro La Scala di Milano il 5 settembre del 1840. Non ci sono dubbi che tale lavoro giovanile resti molto lontano dalle grandi pagine e dalle sublimi soluzioni drammaturgiche del bussetano, permanendo nell'opera qua e là echi donizettiani, qualche rimembranza delle “lunghe, lunghe” melodie belliniane nelle parti più elegiache e meditative, senza risparmiare espliciti riferimenti allo stile brillante di Gioacchino Rossini, che appaiomo fin troppo evidenti e smaccati nella sinfonia introduttiva.

D'altro canto, nonostante il suo ineludibile eclettismo, quest'opera sicuramente non meritava quell'oblio nel quale è piombata dopo il suo debutto, poichè sicuramente da essa emergono delle pagine di eccellente fattura, che fanno presagire la futura zampata del leone. In particolare ci riferiamo al quintetto del primo atto “Cara Giulia, alfin ti vedo”, da considerarsi un piccolo capolavoro, nel quale il compositore mette in campo sapienza di costruzione e intelligenza tale da potersi accostare a un brano analogo del futuro Falstaff. Certo quando Giuseppe Verdi compose la partitura non era in condizioni esistenziali tali da poter redigere un'opera divertente, dato che nel giro di due anni aveva perduto i due figlioletti e la moglie. A causare pertanto l'insuccesso dell'opera fu probabilmente anche lo spirito di grave depressione nel quale si trovava il compositore, unito al mediocre libretto redatto da un Romani, un tempo librettista di successo, ma il cui linguaggio arcaico cominciava ormai a essere alquanto trito e superato.

La versione presentata il 19 e 30 luglio all'interno del festival della Valle D'Itria 2017, realizzata come workshop dell'Accademia del Belcanto Rodolfo Celletti in collaborazione con il Laboratori Festival della Valle d'Itria, si è avvalsa dell'edizione critica edita dalla Chicago University Press a cura di Francesco Izzo – editore Ricordi di Milano, proposta al pubblico nel nuovo allestimento del Festival della Valle D'Itria in collaborazione anche stavolta con l'Accademia del Belcanto Rodolfo Celletti.

Le varie scene del melodramma giocoso si sono sviluppate sotto lo sguardo austero ma attento e vigile del Cigno di Busseto, del quale una copia del ritratto, realizzato all'epoca dal pittore Giovanni Boldrini, campeggiava sul lato sinistro del palcoscenico. L'ambientazione moderna, intesa a riprodurre, come spiega nelle note di regia Stefania Bonfadelli, un teatro dismesso e in abbandono, non ha sicuramente nuociuto alla resa complessiva, facendo ben intendere agli spettatori che gli attori protagonisti tendevano a riappropriarsi dello spazio teatrale, regno incontrastato anche per una sola giornata di attori, cantanti e artisti, dominio di cui saranno sovrani assoluti seppur per lo spazio limitato di sole ventiquattro ore.

Anche i suggestivi costumi, curati con una certa perizia e competenza dalla stessa Bonfadelli, hanno voluto evidenziare questa scelta di far passare il teatro attraverso lo stesso teatro, idea certo non nuova nella tradizione del teatro occidentale. Tuttavia la creatività della regista è riuscita a rendere vivace e scattante l'azione scenica complessiva, raccordandola in modo dinamico e fluido con i tempi e gli spazi della musica.

Il baritono Vito Priante (il cavaliere Belfiore) ha rivelato voce timbrata, buona musicalità e attenta cura della tessitura, mentre il basso Pavol Kuban (il barone di Kolbar) riusciva a determinare i tratti vocali buffi e umoristici affidati al suo personaggio. Il soprano Viktorija Miskunaité svettava magnificamente con la sua voce chiara, netta e rifinita, esibendo anche fraseggio accurato, dizione nitida ed efficace e per finire puntuale copertura negli acuti. Buona anche l'esibizione del mezzosoprano Alessandra della Croce (Giulietta di Kelbar) che definiva con eleganza e grazia la sua prestazione. Piacevoli e piene di verve anche le esposizioni vocali di Ivan Ayon Rivas (Edoardo di Sanval), Luca Vianello (il Signore della Rocca), Nico Franchini (il Conte di Ivrea) e Domenico Pellicola (Delmonte).

Il maestro Sesto Quatrini ha condotto l'orchestra in modo impeccabile, riuscendo a imprimere a tutta la partitura una gioiosa baldanza e una vigorosa energia, seguito e assecondato in modo puntuale e ineccepibile dalla valida Orchestra Internazionale d'Italia e dal Coro del Teatro Municipale di Piacenza, preparato con professionalità da Corrado Casati.

Giovanni Pasqualino

2/8/2017