RECENSIONI
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Matrimoni, confetti e difetti…

Da sinistra: Antonio Conte, Giorgia Trasselli e Nicola Paduano.

Un matrimonio, con relativa cerimonia, ricevimento (adesso lo chiamano catering, ma la sostanza non cambia), bomboniere, regali, parrucchiere, trucchi, vestiti e relativi conti da pagare, costituisce da sempre, o almeno da quando la semplice realtà della convivenza è stata resa complicata come tutte le altre faccende umane, un momento di enorme rilevanza in una famiglia, per non dire che scatena un infernale pandemonio, di cui soggetti attivi sono le madri, e soggetti passivi tutti gli altri, con particolare riferimento ai padri, che diventano bersaglio di un tiro incrociato di ansie, recriminazioni, borbottii, isterismi vari da far impallidire le notti di fuoco americano su Bagdad.

Su questo notissimo e vissutissimo garbuglio esistenzialsociologico si è aperto il sipario il 3 aprile al Brancati di Catania; sì, perché Finché vita non ci separi, dall'eloquente sottotitolo W gli sposi, di Gianni Clementi, è appunto l'agile e spigliata rappresentazione di quella che potrebbe dirsi “la notte prima del matrimonio dell'unico figlio”, evento la cui portata angoscizzante può essere paragonata solo alla notte prima degli esami di maturità, o almeno di quelli seri, prima che una scellerata politica li riducesse ad una ben orchestrata farsa con voto praticamente prestabilito in base a crediti pregressi.

La notte prima del matrimonio comincia con una bella sveglia alle 4,30 del mattino: una madre superpimpante, Alba, imperversa come un tifone su marito e figli, distribuendo ordini, divieti, prescrizioni che vanno dal caffè alla doccia, all'arrivo della parrucchiera, il tutto condito da recriminazioni risalenti alla notte dei tempi, miranti ovviamente ad una sistematica demolizione della sposa (incinta), dei consuoceri, definiti sguatteri, proprietari di un ristorante dal superproletario nome La Scamorza, dove però almeno si mangia bene, e amenità del genere.

Giuseppe, il figlio, si aggira in boxer e maglietta sulla scena, col rude fare di chi, militare di carriera, è appena tornato dall'Afghanistan; muscoloso e virile, sopporta stoicamente la madre e sembra proteggere il padre dalle furie della consorte, destreggiandosi benissimo anche con la ciarliera parrucchiera Miriam, precipitatasi in casa più o meno all'alba.

Tutto sembrerebbe normale, fino all'arrivo del commilitone Mattia, anche lui muscoloso, virile e marziale: ma ecco che pian piano si capisce che qualcosa non funziona. Sì, perché Giuseppe e Mattia si amano: questa verità, spiattellata a poche ore dal matrimonio, genera un apocalittico putiferio, dalla quale la prima a riprendersi è stranamente proprio Alba, che, con un detournement paragonabile ad un'inversione a U sull'autostrada, rimette tutto in carreggiata. Giuseppe si sposerà e poi se ne tornerà in Afghanistan, perché l'importante è che la faccia sia salva; i consuoceri vengono subito ridipinti come ottime persone, la sposa è uno specchio di virtù, La Scamorza è un ristorante meraviglioso, e tutto va bene, a riprova che, ed è questo il senso sotteso alla genuina, dirompente comicità di tutta la pièce, tutto, ma assolutamente tutto, può essere inghiottito, deglutito, metabolizzato e accettato, purché la faccia sia salva. Al povero Cosimo, il padre, non resta che rassegnarsi, tranne per un'ultima domanda, fatta a Giuseppe, riguardante il ruolo del figlio nella coppia gay…

Una commedia esilarante, recitata in maniera impeccabile da una compagnia di validissimi attori, che la regia di Vanessa Gasbarri, coadiuvata dalle scene e dai costumi di Velia Gabriele, ha reso con mano sicura, guidando gli attori nel senso di una stringatezza che ha impresso un ritmo serrato, privo però del rutilare puramente comico, cosa che ha permesso di cogliere sia l'ilarità che l'intento velatamente polemico del lavoro.

Giorgia Trasselli e Antonio Conte, Alba e Cosimo, hanno reso con estrema naturalezza i loro personaggi: eccellente la dizione e misurata la gestualità di entrambi, anche se un plauso particolare va alla mimica di Conte, che ha interpretato il suo ruolo in una perfetta sinergia di parola e volto.

Ottima la prova dei tre giovani attori Claudia Ferri (Miriam), Nicola Paduano e Alessando Salvatori, rispettivamente Giuseppe e Mattia: briosi e disinvolti, hanno ricevuto calorosi consensi, anche a scena aperta, da parte del pubblico, che ha mostrato di gradire molto questo lavoro, valido dal punto di vista teatrale e recitato con notevole professionalità.

Giuliana Cutore

8/4/2014

La foto del servizio è di Pino Le Pera.