RECENSIONI
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Barcellona

Domingo e la Zarzuela

Al Liceu questa stagione Placido Domingo si presentava solo con un unico concerto dedicato esclusivamente alla zarzuela, anche se Marina di Arrieta e Goyescas di Granados sono opere e El sombrero de tres picos di De Falla è un lavoro sinfonico che non ha niente a che spartire con il chiamato género chico – cioé il genere piccolo, in rapporto all'opera lirica. Lo accompagnavano il soprano Ana María Martínez (che faceva il suo debutto qui ed aveva già fatto questo tipo di concerti con il celebre baritenore – come devo chiamarlo?), il tenore Airam Hernández, e l'orchestra del Teatro diretta dal giovane e molto lodato maestro Ramón Tebar.

Il grande artista, che lo è sempre e lo sarà, cantava anche da tenore – una romanza da La tabernera del Puerto , di Sorozábal, che è stata sempre uno dei suoi grandi pezzi forti anche se paradossalmente in questo caso si sentiva più il baritono che in altri momenti – si presenta sempre come un modello di fraseggio, di dizione e di emozione; dopo un primo assolo non troppo felice da La del soto del Parral di Soutullo e Vert, si riprendeva e arrivava a grandi momenti nel duetto da El dúo de La africana e il suo magistrale Vidal Hernado dalla Luisa Fernanda di Moreno Torroba. Emotiva fino alle lacrime (dopo un'allocuzione molto sentita al pubblico ricordando la sua lunga carriera al Liceu) era la versione di Adiós, dijiste, il suo ultimo bis, e una dimostrazione della sua capacità per l'opera il duetto dalla Marina (si veda sopra) con il tenore Hernández, un giovane volenteroso, con un bel colore, più chiaro in zona acuta e con una chiara differenza di volume fra i registri, che, se saprà gestire meglio i suoi mezzi – arrivava stanco alla seconda parte – può certamente avere un avvenire. Dava il meglio, com'è logico, nei suoi momenti come solista, ne El trust de los tenorios di Serrano e ne La dolorosa di Serrano.

La Martínez cantava come la ricordavo da altre volte, sicuramente una professionista, ma dal timbro poco gradevole, particolarmente nei gravi; l'acuto è sì molto metallico ma sicuro, ed era quella che più ha rischiato uscendo a testa alta dall'impresa. In quest'opportunità l'ho sentita più ingolata e con un'articolazione confusa che spariva soltanto nella romanza di sortita da Cecilia Valdés del cubano Roig, mentre poco si capiva dalla sua María de la O, del – anch'esso cubano – Lecuona. Cantava anche l'aria notissima da La Marchenera di Moreno Torroba, e dello stesso il grande duetto – con Domingo – dalla Luisa Fernanda e un altro, pure molto noto, da La del manojo de rosas di Sorozábal. Con il tenore duettava ne El gato montés di Penella e La leyenda del beso di Soutullo y Vert con risultati variabili, anche per quanto riguarda la dizione, ma sempre a un livello corretto.

L'orchestra suonava bene, e nei frammenti sinfonici faceva capire che la bacchetta di Tebar sembra più adatta ai momenti lirici che non a quelli di forza o tensione, soprattutto se si tratta di metalli e percussioni che a momenti ricordavano le bande, e non sempre riusciva a stabilire un perfetto equilibrio con i solisti (erano tutti sul palcoscenico). Tantissimo pubblico e, manco a dire, infervorato .

Jorge Binaghi

23/5/2018

Le foto del servizio sono di Antonio Bofill.