RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Zukerman tuttofare

Quando l'esperienza si unisce a un talento multiforme, nascono personaggi come Pinchas Zukerman, direttore, violinista, violista, insegnante e pedagogo israeliano ma di origine polacca. È stato interessante salutarlo nella doppia veste appunto di violinista e di direttore, alla testa della Camerata Salzburg, all'auditorium Agnelli di Torino (Concerti del Lingotto), in un programma che ha fatto la gioia dei classicisti puri: dapprima la Romanza per violino e orchestra n°1 in sol maggiore Op. 40 di Beethoven e il Concerto per violino e orchestra n°5 in la maggiore KV 219 di Mozart, poi la Sinfonia n°83 in sol minore Hob. I:83, detta “La poule” (“La gallina”) di Haydn.

Una serata in cui la cosiddetta “prima scuola di Vienna” ha potuto sfoggiare i suoi tre maggiori rappresentanti. Beethoven presenta una pagina giovanile, una tenera e un po' ingenua romanza ancora lontana, se non cronologicamente, di sicuro in spirito, dal periodo del “titanismo”, datata 1802. Parimenti giovanile, di un Mozart diciannovenne, il Concerto KV 219, scritta nel 1775, all'epoca del suo servizio presso la corte del principe arcivescovo Colloredo a Salisburgo, assieme agli altri quattro, tutti nati nello stesso anno, nell'arco di qualche mese. Dei cinque, è il più strutturato, il più completo, dove non mancano neppure inattesi colpi di scena, come il passaggio in minore “alla turca” nel cuore del Rondò conclusivo.

Un salto di dieci anni, fino al 1785, ci porta invece alla composizione della Sinfonia n°83 di Haydn, seconda delle sei sinfonie “parigine” (nn 82-87), scritte su commissione del Concert de la Loge Olympique. Per quanto concerne il soprannome di “Poule”, il riferimento è al secondo tema del primo movimento, dove le acciaccature degli archi possono far pensare al chiocciare di una gallina. Ciò smorza con allegria il cupo incipit in sol minore, che si stempera con naturalezza nella solarità del Minuetto e del Finale, passando per la pausa serena dell'Andante.

Zuckerman opta per un'orchestra di medie dimensioni, sui 10-12 violini primi e 4 contrabbassi, in linea con le effettive risorse dell'epoca. Dal punto di vista solistico, i brani di Beethoven e Mozart vedono intrecciarsi una tecnica magistrale e inappuntabile con il desiderio (filologico?) di personalizzare qua e là, dove possibile, i vari movimenti, inserendo, ad esempio, tra un episodio e l'altro del Concerto mozartiano, brevi cadenzine di gusto improvvisativo. Laddove si parli di cadenze vere e proprie, sono da sottolineare quella dell'Adagio, che indugia a un certo punto verso il malinconico, una svolta del tutto in linea con la piega intimistica che prende il discorso del movimento, e quella del terzo, il Rondò-Tempo di Minuetto, nel quale, tra l'altro, l'episodio “alla turca” in minore viene accelerato, cosa che rende tutto più “zigano”. Piccole libertà che però riflettono la realtà storica di quel tipo di brani talvolta costruiti apposta affinché il solista potesse brillare con tutte le sue abilità.

Morbido e garbato sempre invece lo Zuckerman direttore, dalla Romanza di Beethoven alla Sinfonia di Haydn – dove si rinviene, perfettamente incarnato e magnificamente reso, quello spirito di grazia e misura che costituisce la cifra distintiva del Classicismo viennese – con, in particolare, una certa amabilità e dolcezza nella prima e una gustosa voglia di scherzare con la musica, col pubblico e con se stesso, di prendere insomma la vita con leggerezza (ma non alla leggera!) nella seconda.

Christian Speranza

18/12/2017