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Printemps des Arts

La luce e la tenebra

Accostare il pianismo febbrile e inebriante di Alexander Scriabin all'essenzialità poetica di Anna Achmatova potrebbe apparire operazione audace. Eppure, a ben guardare, al di là della distanza cronologica che separa i due artisti e dei differenti mezzi d'espressione, ad accomunarli è una certa tendenza al contrasto interno, alla progressiva rarefazione delle forme. Programmare in questo particolare momento storico un tale concerto, come è accaduto al Printemps Des Arts di Monte-Carlo, significa evocare una serie di suggestioni e di tangenze fra passato e presente di enorme rilevanza. Solitaria è l'Achmatova, tacciata di pessimismo nevrotico e di erotismo malato dalle autorità sovietiche, forzata al silenzio per lunghi anni. Allora come oggi il nazionalismo angusto e l'antioccidentalismo divengono pura ossessione, sfociando in un controllo capillare del mondo intellettuale che non ammette deroghe. Solitario appare Scriabin, artefice di un mondo sonoro del tutto originale, sempre più immerso in una sorta di visione filosofica venata di misticismo. Due diverse serate nelle quali le Sonate costruiscono un interessante contrappunto con le poesie.

Chi scrive ha assistito al secondo concerto, tenutosi presso la Salle Garnier. Il pianismo infuocato di Peter Laul sembrava dialogare con le maschere e gli ori della sala, con il sovraccarico decorativismo del luogo. Note che si gettano nell'abisso con ritmo appassionato per distendersi in rari spazi di lirismo, comunque incrinato da sotterranee inquietudini. La recitazione delle poesie in lingua originale era affidata alla brava Svetlana Ustinova, mentre Jean-Yves Clément aveva il compito di leggerne la traduzione francese. Peccato solo che l'assenza dei sovratitoli abbia complicato la comprensione a coloro i quali non erano né russofoni, né francofoni. Detto questo, l'alchimia di suggestioni fra suoni e versi risultava comunque potente. La figura di Osip Mandel'štam citata dalla Achmatova, ad esempio, evoca lo spettro delle repressioni staliniste, sotto il quale cadde gran parte dell'intellighenzia russa. L'accostamento con la Sesta sonata, che lo stesso Scriabin temeva di eseguire in pubblico per le sue risonanze terrifiche, risulta di grande impatto. Nella poesia Al collo un filo di esili grani la scrittrice descrive sé stessa, quasi dando forma poetica al noto ritratto che di lei fece Altman, rendendo in poche righe un'intera psicologia con rara pregnanza. I versi conclusivi “… e sul mio petto tremano i fiori dell'incontro che non c'è stato”, esprimono magnificamente la dimensione del rimpianto e della solitudine. Nella stessa maniera, in Come una pietra bianca in fondo al pozzo, la sofferenza per il perduto sentimento d'amore viene sublimata dalla permanenza della memoria. La tenebra sembra squarciarsi per un attimo, come nella Settima sonata di Scriabin, pervasa da un afflato luminoso che anela alla trascendenza.

Riccardo Cenci

30/3/2023

La foto del servizio è di Alice Blangero.