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EDITORIALE

13/10/2025


Breve storia eretica della Musica Classica

di Alessandro Baricco

L'idea non è nuova: compendiare la storia della musica “colta” – ancorché “classica” – in un volume di facile accesso, scevro da ridondanti accademismi. Un'operazione già tentata da tanti, quella della “musica for dummies ”, che se da un lato ha il pregio di avvicinare menti ignare del fatto che in fondo non sia poi un mondo così difficile o noioso, dall'altro ha il rischio talvolta di semplificare un po' troppo la materia. Ma se la penna è quella di Alessandro Baricco, il caso si tramuta da una questione di contenuto, che poi alla fine è sempre quello, a una questione di stile. E lo stile di Baricco lo conosciamo. Un periodare piano e discorsivo, che ricerca la cadenza del ritmo parlato. Che non s'invola sulle cuspidi della Letteratura con la L maiuscola ma proprio per questo si lascia leggere una pagina dietro l'altra, senza scadere nella banalità o nella sciatteria. Metafore accortamente studiate, mai preda del facile cliché e non troppo lambiccate da passare per astruserie. Qui, per soprammercato, un ritorno insistito su parole pregnanti in grado di evocare immagini d'impatto – «Dio»; «pelle» per «sotto la pelle», «sulla pelle»; «cuore» e «mondo» per «il cuore del mondo»: frasi fatte, e già sentite in altri contesti (come nella lezione su Proust: si vede che gli piacciono) che, se usate a distanza ravvicinata, danno però l'idea di un prestigiatore cui scappano le carte dalla manica. E poi il marchio di fabbrica: la frase a effetto al termine del paragrafo. Breve. Lapidaria. Che lascia il segno. Un tale stile, applicato a questa Storia eretica della Musica Classica (M e C maiuscole: ma perché? E non mi si dica per l'importanza “emozionale” o soggettiva…), non può che acchiappare il neofita medio che vuol farsi una cultura: perché ritrova il romanziere che conosce. Già la veste grafica scelta da Feltrinelli, che pubblica il libro nel settembre del 2025, pare voler richiamare la finalità del prodotto: tre accattivanti copertine a scelta, coi ritratti di Bach (quello Haussmann), Mozart (Barbara Krafft) e Beethoven (Stieler); non a fuoco, però: sgranati come dietro un vetro smerigliato. Per dire che sì, più o meno ti inquadro la materia, ma non ti dò proprio tutti i dettagli – quelli semmai te li vai a cercare. Perché poi l'impaginazione debba avere il testo tutto allineato a sinistra, rinunciando alla convenzione del giustificato, non si sa, né si sa perché i numeri di pagina siano aboliti (le pagine comunque sono 135, a contarle dalla dedica ad Angelo Foletto e Giovanni Sollima). Il romanziere si fa divulgatore (e d'altro canto Baricco non è alla prima esperienza quanto a divulgazione: è reperibile ancora su YouTube, ad esempio, stando nell'ambito, un suo spettacolo su Beethoven, per quanto a volte l'oggettività ceda il posto alle solite frasi a effetto, allo show), il saggio vuol farsi racconto, la fabula ha inizio. Ed è così che, attraverso sette capitoli, vediamo snodarsi succintamente la storia della musica occidentale.

E si inizia dalla Grecia antica, dove si sonda il fenomeno acustico, prima ancora che musicale. Con un'anticipazione di qualche secolo, si accenna a Guido d'Arezzo, colui che diede il nome alle note, per poi cominciare ordinatamente da Pitagora di Samo e dalle sue corde di lira allungate e accorciate. Se non altro il merito è quello di citare nomi sicuramente poco noti al grande pubblico – chi ascolta oggi la polifonia di Magister Leoninus e della scuola di Notre Dame? – con riferimenti dotti per esempio a Conrad Paumann, organista tedesco del Quattrocento, o a Boezio, quando ancora la musica era oggetto di speculazioni scientifico-teologico-filosofiche. Col terzo capitolo, «L'Età del Disordine» (maiuscole ancora non giustificate…), si affronta il Seicento, il declino della polifonia, la musica strumentale, l'avvento dell'opera (Galilei, la seconda prattica di Monteverdi…), il basso continuo, Lully. Col quarto, «Il Big Bang», si definiscono a grandi linee l'affermarsi dell'armonia, la conquista della tonalità e del temperamento equabile, con gli immancabili riferimenti a Bach, a Rameau, all'Op.6 di Corelli. «La Musica Classica» (le maiuscole!) riassume il periodo della prima scuola viennese, con Mozart in primo piano; opportuni riferimenti ai meno noti Schobert e Benda si intrecciano alle descrizioni della sinfonia e della forma sonata, del suo carattere narrativo nella contrapposizione del bitematismo. Ma se finora il lettore è stato condotto per mano con un certo passus piuttosto prudente, benché a grandi falcate, con i capitoli successivi, «La Musica Moderna» (sempre in maiuscolo…) e «L'abbandono dell'agricoltura e la musica della diaspora» (titolo che rimanda a una metafora sottesa a tutto il romanzo, musicisti come cacciatori-raccoglitori prima e come agricoltori poi), si imprime un'accelerata violenta, che induce nel lettore poco avveduto una dispercezione delle importanze relative dei vari autori: passi ancora Beethoven, al quale è dedicato un congruo numero di pagine, pur nell'esiguità fin eccessiva del libro nel suo complesso (le rivoluzioni della Patetica e dell'Eroica), e Wagner, il cui peso nella storia musicale è sufficientemente rilevato; ma personalità come Schumann, Chopin, Mendelssohn e altre sono confinate letteralmente in qualche riga – non parliamo poi di tutto il Novecento compresso nel capitoletto conclusivo: Stravinskij, Schönberg...

Per chi è digiuno di musica, può essere un valido approccio, uno spunto per voler approfondire. Passi oltre chi ne sa un po' di più. Ogni libro in fondo si sceglie il suo lettore. Ma attenzione: la Nona di Beethoven vide la luce nel maggio del 1824. Non nel novembre. Come è scritto qui.

Christian Speranza

 

 

 

 

 

 


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