EDITORIALE
2/7/2025
L'altro Mendelssohn

Mendelssohn, per gli esegeti di un tempo, significava soprattutto brillantezza melodica e squisitezza espositiva. Via via la percezione si è modificata, facendo emergere la sua “anima divisa in due” di compositore in equilibrio tra regole costruttive e lirismo fantasticante, severità formale e slancio sentimentale: come a dire, l'ultimo dei classici e il primo dei romantici. Oggi, però, le cose stanno ulteriormente cambiando e diventiamo sempre più sensibili a quello che era considerato il Mendelssohn residuale: drammatico e profondo, austero e spirituale, nel quale concetto poetico e forma musicale non si giustappongono (come, un po' banalmente, s'intendeva prima), ma entrano in dialettica tra loro. In questa rinnovata prospettiva, più che le celebri sinfonie o i popolari brani pianistici sono i due grandi oratori Elias e Paulus – ma pure tutto l'ampio catalogo di cantate e composizioni corali – a diventare le chiavi di volta per comprendere appieno Mendelssohn; e anche le pressoché dimenticate musiche di scena per il Sofocle di Edipo a Colono e Antigone, caratterizzate dalla plastica compattezza del doppio coro maschile e da un modernissimo rapporto tra parti recitate e parti musicate, risultano illuminanti al riguardo. Composta nel 1841 sulla traduzione tedesca di Johann Donner, redatta nella metrica dell'originale sofocleo e dunque corrispondente sillaba per sillaba al testo greco, Antigone è stata appunto eseguita come titolo di apertura della stagione estiva all'Accademia di Santa Cecilia. In tutto, poco meno di un'ora di musica. Destinata però a crescere di un'altra mezzoretta nell'adattamento, appositamente commissionato, del filologo Gianni Garrera, che crea una serie di raccordi tra gli otto brani che compongono questo lavoro (Mendelssohn sceglie la via ellittica e rapsodica, limitandosi a musicare i momenti centrali dell'azione tragica), affidandoli a un narratore – Massimo Popolizio, assai applaudito – che spiega e aggiunge, tamponando i black-out narrativi creati scientemente dal compositore. Tutto sommato, è stato l'aspetto più invitante ma pure meno riuscito della serata: per l'infelice amplificazione che ha riverberato la voce del pur bravissimo attore-regista e, anche, perché così facendo si è creato un circuito artificioso tra le voci recitanti previste in partitura (impegnate ovviamente in tedesco) e quella italiana di Popolizio.
Francesco Lanzillotta dirige con gesto chiarissimo un'orchestra recettiva e un coro – qui nella sua sola compagine maschile – forse meno incisivo di quanto sarebbe stato necessario: anche i sei coristi (quattro bassi e due tenori) impegnati in apparizioni solistiche non sempre sono sembrati all'altezza. Resta comunque abbastanza evidente, da parte del direttore, l'intenzione di offrire una lettura bilanciata piuttosto che polarizzata: intensità drammatica e cupezza timbrica vengono debitamente sottolineate, ma il senso della misura e l'equilibrio sereno (anche nel dolore) del Mendelssohn più tradizionale affiorano a loro volta. Non a caso Lanzillotta trova il momento migliore nell'introduzione strumentale che apre l'Antigone: e il contrasto tra maestosità dell'Andante e febbrilità del successivo Allegro – per il compositore un modo di evocare lo scontro dialettico tra Creonte e Antigone – diventa, più in generale, una maniera per ricordarci quel conflitto tra culto della forma e trasporto romantico che innerva l'ontologia musicale mendelssohniana.
Sul fronte degli attori, Christoph Hülsen è un Creonte insieme assertivo e tormentato, mentre Alessandro Budroni, con un ottimo tedesco, si fa carico di tre diversi ruoli. A dominare, però, è ovviamente l'Antigone di Simonetta Solder: declamatrice non solo intensa e concentrata, ma infallibile sul piano ritmico. Preceduta da un “Adagio non troppo” del coro, la protagonista entra in scena solo a metà partitura, per subito inerpicandosi in un Melodram (così nella musica tedesca veniva definito il corpo a corpo tra voce recitata e l'orchestra “di commento” che scorre sotto). Tuttavia, al contrario di quanto fa Beethoven nel Melodram del Fidelio (o Mendelssohn stesso in altri momenti dell' Antigone ), rispetto all'orchestra qui la voce non rappresenta un ideale “contrappunto recitato”: al contrario, è chiamata a intonarsi essa stessa sull'andamento della musica. E dunque non sappiamo se Simonetta Solder sia un'attrice-musicista, ma certo è un'attrice musicalissima.
Paolo Patrizi
La foto del servizio è di MUSA.
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