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EDITORIALE

18/10/2024


Peter Grimes: l'uomo e il mare

Il sipario si leva su un incubo. Peter Grimes, ancora dormiente, appare braccato dalla comunità del villaggio. Il suo corpo indifeso, illuminato dalle torce che squarciano il velo della notte. Non ha via di scampo; la condanna è già stata emessa. Una barca aleggia su di lui, la figura del mozzo morto accidentalmente durante una battuta di pesca volteggia nell'aria, infestando il suo sonno inquieto. Toccherà il suolo nel finale, in una simbolica ricongiunzione con il suo padrone, volontariamente consegnatosi ai flutti. Un'immagine potente ed evocativa. Deborah Warner, già autrice alcuni anni fa di un magnifico Billy Budd, prosegue nella sua acuta esplorazione del teatro di Britten. Una produzione andata in scena prima a Madrid, poi a Londra e a Parigi, ora approdata nella Capitale. Peter Grimes mancava al Teatro dell'Opera dal lontano 1961, un'assenza inspiegabile considerando che ci troviamo di fronte a uno dei grandi capolavori del Novecento. La lettura della Warner è lirica e onirica, curata nella recitazione, perfettamente in linea con il dettato del compositore britannico. Le scene essenziali di Michael Levine delineano un'ambientazione contemporanea, evidenziando il fulcro del dramma. Una società disumanizzata, crudele, la quale necessita di un nemico per poter scaricare le proprie frustrazioni. Grimes appare costantemente isolato dal resto della comunità, mentre solo alcuni provano pietà nei suoi confronti. Si esprime in un linguaggio diverso, incomprensibile per gli altri. Nessuno riesce a penetrare la sua interiorità. Durante la tempesta, che addita in maniera shakespeariana i tumulti che agitano il protagonista, gli abitanti di Aldeburgh si rifugiano nel pub. All'ingresso di Grimes tutti ammutoliscono. Questi si abbandona a un monologo intriso di lirismo e di mistero, che parla della sofferenza umana e del destino. Alza gli occhi al cielo, e scorge un'incomprensibile oscurità.

L'opera, in quest'ottica, è una sorta di tragedia greca in chiave moderna. Grande rilievo ha la comunità, il coro, fra l'altro preparato in maniera eccellente da Ciro Visco, in opposizione alla solitudine del protagonista. Allan Clayton incarna un uomo preda di rimorsi, ossessionato dalla paura e inseguito da fantasmi. La speranza illumina debolmente il suo cuore, ma è l'oscurità che prende il sopravvento. Dal punto di vista vocale ricalca il modello di Peter Pears, per il quale il ruolo fu scritto. Il canto fragile ma non privo di consistenza, screziato da accenti di straziante lirismo gli permettono di fornire una prova maiuscola. Gli sta accanto il Balstrode altrettanto valido di Simon Keenlyside, schietto e votato alla salvezza di un uomo che, in realtà, è già perduto. Buona anche la Ellen di Sophie Bevan, pur con qualche fissità nel secondo atto. Eccellenti infine il Ned Keene di Jacques Imbrailo e la Zia di Catherine Wyn-Rogers. Nel complesso l'intero cast appare all'altezza della situazione, in particolare dal punto di vista interpretativo. Pensiamo alla carica erotica delle due nipoti, allo scompiglio che seminano nel villaggio, o ancora ai toni eccessivi del predicatore metodista Bob Boles, perennemente consegnato all'ubriachezza. I vizi degli abitanti vengono additati con minuzia, mentre Grimes appare come il capro espiatorio, il diverso da emarginare e punire per la propria alterità. Su tutto il mare, confine fra la vita e la morte, elemento mutevole e inafferrabile al quale ritorna l'anima tormentata del protagonista. Il suicidio è scelta forzata per una vita divenuta intollerabile, è rimpianto dell'infanzia, desiderio di dissolversi nell'eterno, estremo tuffo nella materia impalpabile dell'inconscio. Alla morte per acqua, topos della letteratura anglosassone, è affidata la conclusione della vicenda. Dalla nostalgia di Britten per il Suffolk, e dunque per la dimensione marina, origina la scrittura dell'opera, tratta dal poema The Borough di George Crabbe. Come sempre la direzione di Mariotti è attenta ai valori timbrici, nitida negli sviluppi orchestrali, intrisa di lirismo e screziata da sprazzi di inusitata energia, come nel secondo interludio marino. Una lettura nel complesso eclettica e varia, anche se dispersiva nell'economia generale della narrazione. Ottima risposta da parte del pubblico presente.

Riccardo Cenci

La foto del servizio è di Javier del Real – Teatro Reale di Madrid.

 

 

 

 


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