EDITORIALE
29/7/2025
Critico musicale o pappagallo da trespolo?

Caricatura di Franco Abbiati di Alessandro Berretti.
Il sostantivo femminile italiano critica trae origine da “krino”, termine greco che incorpora in sé sia l'idea del giudizio sia quella del discernimento e della scelta. Da questo punto di vista, l'esecuzione, lo studio e l'ascolto di musica, l'interpretazione e tutte le azioni che comprendano una qualsiasi relazione instaurata fra l'uomo e il fenomeno musicale contemplano anche l'esercizio di una capacità critica, ossia la formulazione di un'opinione. In tal senso e per conseguenza la funzione del critico sarà soprattutto di carattere informativo e analitico, in quanto egli è solo un anello della catena ermeneutica che serve alla comprensione della musica e della sua interpretazione.
E' anche vero che i teatri d'Opera italiani e del mondo intero, venendo oramai finanziati per lo più con il denaro pubblico di Comuni, Regioni, Stato, ecc., tendono automaticamente e per legittima difesa a respingere qualsiasi critica poco positiva sul loro operato, sia essa dovuta alle scelte delle produzioni proposte da Direzione Artistica e da Sovrintendenza, sia essa dovuta alle talvolta carenti esecuzioni di cantanti, strumentisti, coristi o ballerini. Pertanto qualunque piccolo appunto di un critico verso un concerto, un'opera lirica o un balletto, verrà sempre sfavorevolmente accolto e rigettato come ostile, malevolo e dettato solo da acredine e rancore dato che potrebbe suggerire o insinuare, anche vagamente, la subliminale e pericolosa idea di inutile e vano spreco di denaro pubblico.
Il dettato dell'UNESCO che ha iscritto nel dicembre del 2023 l'Arte del Canto Lirico Italiano nella lista del patrimonio culturale immateriale dell'umanità ha voluto fissare e cristallizzare la grande produzione melodrammatica quasi come fosse un museo, una biblioteca, una galleria d'arte, strutture tutte queste delegate a mantenerne viva e vegeta una grande tradizione culturale, forse però non tenendo conto quanto sia fondamentale ed essenziale nella prima l'aspetto performativo. Pertanto se un critico osa porre in discussione peculiari messe in scena ultrasconclusionate e realizzate da strampalati e balzani registi (fra l'altro economicamente ben remunerati) dalle idee tanto bislacche quanto incoerenti, viene subito bollato come malmostoso ed obsoleto tradizionalista che si oppone al rinnovo ed all'adeguamento del Melodramma alle tematiche di una moderna e più dinamica realtà sociale.
In questo clima tendenzioso, ipocrita, artificioso e soprattutto irreale (dove ogni rappresentazione, almeno a chiacchere, dovrà sempre registrare un grandioso sold out e dovrà sempre concludersi con travolgenti e impetuose standing ovation ) il famigerato critico, qualora dovesse osare mettere in forse le prestazioni che, per ovvi motivi, dovranno sempre e comunque risultare stupefacenti, meravigliose, grandiose, esilaranti, superlative e sensazionali di registi, costumisti, strumentisti, cantanti, coristi, coreografi, ecc. , verrebbe all'istante attaccato e bollato come un guastafeste astioso, un essere abietto e acrimonioso dove la bile e la frustrazione personale si trasfondono tutte in inchiostro, quasi un Commendatore che viene a rovinare la festa e il banchetto di Don Giovanni. Quello che ai giorni nostri oramai le istituzioni musicali ufficiali domandano al critico, che vorrebbero trasfigurato definitivamente in un ecolalico pappagallo da trespolo, sono solo e solamente le tre fatidiche e celebrative parole degne dei più agguerriti claqueures di tutti i tempi: bene, bravo, bis!
Giovanni Pasqualino
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