EDITORIALE
23/3/2025
Beethoven e Mendelssohn

Il concerto del 21 marzo (replica il 22) al teatro Bellini di Catania prevedeva nel primo tempo l'esecuzione del Concerto n..5 per pianoforte e orchestra in Mi bemolle maggiore op. 73, “Imperatore” di Ludwig van Beethoven e nel secondo tempo due composizioni di Felix Mendelssohn, Le Ebridi (La grotta di Fingal) ouverture da concerto in si minore op. 26, MWV P7 (Allegro moderato. Animato in tempo) e la Sinfonia n. 4 in La maggiore op. 90 “Italiana”. Al pianoforte era Giovanni Bertolazzi, mentre l'orchestra del nostro teatro veniva condotta da Riccardo Bisatti. Il Concerto n.5 per pianoforte e orchestra in mi bemolle op. 73 si apre su tre grandi accordi di tutta l'orchestra fra i quali il solista si inserisce con passaggi arpeggiati, quasi in uno stile di improvvisazione. Quindi l'orchestra introduce il primo tema sul quale è costruito l'intero primo movimento, Allegro, in modo vigoroso e marziale, al quale poi si opporrà un secondo tema enunciato nella tonalità minore e successivamente ripreso in tonalità maggiore dai corni francesi. Lo sviluppo introdurrà un terzo elemento che renderà ancora più serrato il dialogo fra pianoforte e orchestra. L'interpretazione sia del solista che dell'intera compagine orchestrale della prima sezione, tolto l'attacco alquanto impreciso, ci è parsa abbastanza salda e sicura anche perché è riuscita a coglierne tutto il carattere altisonante, stentoreo e marziale. Altrettanto efficace ci è parsa l'esecuzione del secondo movimento, Adagio un poco mosso, mediante il quale si spandeva dal palcoscenico in tutto il teatro la soavità e tenerezza della pagina, quasi un'oasi di pace meditativa e contemplativa. L'ultimo tempo, Rondò. Allegro, ha evidenziato qualche eccesso fonico soprattutto nell'interpretazione di Giovanni Bertolazzi che, seppur fornito di un'eccellente tecnica, non ha saputo rendere fluidi e perfettamente nitidi sia i passaggi con le scale che gli abbellimenti, in particolare i trilli di cui la composizione è ricca. Alle acclamazioni del folto pubblico presente in sala il solista ha risposto con ben tre encore: Valzer triste op. 44 n. 1 del violinista ungherese Franz von Vecsey, in una trascrizione per pianoforte, la Danza rituale del fuoco di Manuel De Falla e il Piccolo Valzer di Giacomo Puccini del 1894, brano che poi utilizzerà nella sua Bohème divenendo il Valzer di Musetta.
La seconda parte del concerto ha avuto il suo incipit con l'intervento del prof. Giuseppe Montemagno, docente di Storia della Musica presso il Conservatorio “V. Bellini” di Catania, il quale ha ricordato non solo che il concerto era dedicato alla memoria del maestro Piero Rattalino, autorevole musicologo e critico musicale italiano (fu anche direttore artistico del teatro Bellini dal 1994 al 2006), ma ha anche letto alcuni passi di una nota di sala dedicata proprio ai due brani di Mendelssohn in programma per il concerto. Brani che hanno in comune, da un punto di vista storiografico, il fatto di essere stati realizzati in buona parte proprio in Italia. Infatti Le Ebridi (La grotta di Fingal) , già abbozzata nel 1828, in quanto rievocava un precedente viaggio in Scozia del musicista, venne completata proprio a Roma nel dicembre 1830, mentre la Sinfonia in La maggiore venne scritta in buona parte nella visita alla nostra penisola, visita che ebbe la durata complessiva di dieci mesi (dall'ottobre 1830 all'agosto del 1831), anche se fu ultimata solo nel 1832, venendo poi eseguita per la prima volta a Londra alla Philarmonic Society il 13 maggio 1833 diretta dallo stesso autore e pubblicata postuma nel 1874, solo parecchi anni dopo la morte dello stesso Mendelssohn.
Riccardo Bisatti ha condotto l'orchestra del teatro in modo abbastanza corretto ed equilibrato ne Le Ebridi, riuscendo ad eviscerarne tutta la forza icastica e suggestiva che intende imitare il mormorio e lo sciabordio delle onde che si infrangono e si ritraggono all'interno della famosa grotta marina che si trova sull'isola di Staffa. Di contro, nella Sinfonia in La maggiore non sempre è riuscito a contenere le sonorità e gli impasti orchestrali entro limiti e proporzioni ben ponderate ed equilibrate, sforando in fortissimi talvolta aspri che eludevano la tipica morbidezza e leggerezza mendelssohniane per erompere in una magniloquenza quasi di wagneriana enfasi. Calorosi e prolungati i consensi del pubblico.
Giovanni Pasqualino
La foto del servizio è di Giacomo Orlando.
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