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EDITORIALE

28/5/2025


Seduzioni del giovane Mozart

Nel Re pastore Mozart riesce nell'arduo compito di coniugare le esigenze dell'occasione celebrativa, legata alla visita a Salisburgo dell'arciduca Massimiliano, a un gusto squisito per il gioco intellettuale. All'epoca il compositore diciannovenne ha già al suo attivo partiture formidabili come il Mitridate re di Ponto e il Lucio Silla. Non sorprende dunque la sua capacità di trascendere i limiti imposti dalla committenza, confezionando un'opera di variegata sostanza musicale nella quale i personaggi trovano precisa caratterizzazione eludendo il pericolo dell'algida astrazione. Il sommo equilibrio delle parti costruito dal giovane Mozart infonde alito vitale nella ormai declinante impostazione metastasiana. Il libretto, musicato da numerosi compositori, era comunque considerato dal poeta fra i suoi migliori. Nella declinazione mozartiana il testo venne condensato, forse per limitare la durata dell'intrattenimento. Lode al Teatro dell'Opera per aver riproposto questo titolo di rara esecuzione, seppur nella cornice ridotta del Teatro Nazionale, comunque più adatta del Costanzi ad accogliere le sonorità contenute del lavoro.

Chi scrive ricorda ancora la bella esecuzione in forma di concerto diretta da Harnoncourt al Teatro Olimpico nel 1995, non a caso consegnata al disco, e la conversazione avuta con il Maestro riguardo il pregevole carattere della partitura. Nell'istituzione lirica romana il titolo si è visto una sola volta, nel lontano1988, con la regia di Sandro Sequi. Anche in questo caso si è puntato su un allestimento scenico, sebbene l'assenza di una vera e propria azione teatrale e le testimonianze dell'epoca facciano pensare che la sua prima esecuzione, datata 1775, sia avvenuta in forma concertistica. Detto ciò, la messa in scena è apprezzabile nella sua eloquente semplicità, lineare nella condotta narrativa. Nel primo atto una cornice inquadra un paesaggio bucolico che, nel momento in cui il pastore Aminta scopre la sua discendenza regale, viene smontato pezzo per pezzo. Nel secondo atto le prospettive architettoniche del palazzo conservano l'elemento naturale sotto forma di simulacro, una sorta di bonsai contenuto in una teca. La riconciliazione fra i due mondi avviene nel finale, quando la vicenda trova la sua felice risoluzione. Regia efficacemente condotta da Cecilia Ligorio, di attuale pregnanza nel suo indagare il rapporto fra uomo e natura. Esteticamente apprezzabili le scene di Gregorio Zurla. Manlio Benzi ha diretto con correttezza e sensibilità, pur senza eccellere nella varietà coloristica. L'orchestra del Teatro, nella sua declinazione più giovanile, ha risposto con precisione e aplomb stilistico.

Riguardo il cast, Miriam Albano ha timbro caldo e perfettamente in linea con la psicologia del pastore che si scopre sovrano, governata da un'etica irreprensibile. Nella sua interpretazione l'aria più celebre della partitura, “L'amerò, sarò costante”, raggiunge esiti di toccante lirismo e di profonda emotività. Buona l'Elisa di Francesca Pia Vitale, eccezion fatta per alcune asperità nelle note estreme. Nel ruolo di Alessandro, Juan Francisco Gatell ha modo di sfoggiare la consueta musicalità. Adeguato al temperamento di Agenore l'altro tenore, Krystian Adam. Benedetta Torre, nei panni di Tamiri, mostra tutta la sua personalità e presenza scenica. Successo caloroso per tutti in occasione della penultima recita del 21 maggio scorso.

Riccardo Cenci

La foto del servizio è di Fabrizio Sansoni.

 

 

 

 


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