RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 

 

Il mondo di Gustav

Concerto sapientemente, quasi virtuosisticamente bifasico, quello di Benjamin Appl alle Settimane Musicali Gustav Mahler di quest'anno. L'insigne baritono, pressoché sconosciuto al pubblico italiano (da noi chi pratica il canto da camera non ha speranze di notorietà), ha impaginato una Liederabend perfetta per una città dalla doppia anima come Dobbiaco, geograficamente ancora italiana e culturalmente già austriaca, che non a caso divenne il buen retiro di Mahler nelle tre ultime estati della sua vita. Ne è scaturita una serata fra le più attraenti di questa edizione 2025 (ma ci sono pure la Terza Sinfonia come programma di apertura, la Nona con la Filarmonica di Jena, un concerto di Gardiner destinato a girare anche in altri festival…): se nella prima parte la fin troppo geometrica alternanza tra Lieder mahleriani e Songs di George Butterworth rischia d'ingenerare una punta di manierismo, nella più variegata seconda parte – una ricognizione attraverso “il mondo di Gustav”, con pagine vocali anche della moglie Alma, d'un compositore oggi in piena renaissance come Korngold e dei musicisti del campo di concentramento di Terezín – il quadro si delucida. Sicché quel corpo a corpo, un po' paratattico, tra i Rückert Lieder e le acquarellate trasparenze di Butterworth, caduto poco più che trentenne fra le vittime della Grande Guerra, sulla distanza assume il sapore d'un prolegomeno: una insolita chiave ermeneutica per approcciarci al cosmo mahleriano.

Le similarità tra Mahler e Butterworth non vanno al di là d'un reciproco gusto per l'utilizzo di materiali melodici popolari, ma la delicatezza espressiva del compositore inglese è buon viatico per un viaggio parallelo attraverso la remota pensosità del genio austriaco. Appl vi si accosta da bravo nipotino di Fischer-Dieskau: vale a dire con un gusto spiccato per l'anatomizzazione della frase, che peraltro nel suo mentore appariva ancor più tecnicistica, attraverso un frastagliamento degli accenti d'inaudito preziosismo (quanto all'erede di Fischer-Dieskau della generazione di mezzo, ovvero Matthias Goerne, qualunque analogia appare improbabile trattandosi di baritono che, anteponendo su tutto l'uniformità della linea, è agli antipodi del gusto di Appl).

Rispetto a Fischer-Dieskau, Appl preferisce dunque giocare su una più bidimensionale alternanza: parte da uno dei primissimi Lieder mahleriani (Frühlingsmorgen, esercizio di stile incline al grazioso piuttosto che al profondo) e poi scava in progressione attraverso il macerato individualismo – non a caso il pronome Ich ricorre più volte negli incipit – dei Rückert Lieder, avvicendandoli, quasi a voler aprire ogni volta una finestra elegiaca di contrappasso, con la soffusa malinconia dei Six Songs from a Shropshire Lad. Ne sortiscono due impasti e due colori alternati in una sorta di dialettica tensione-distensione; e anche il dato emissivo sembra modificarsi, passando da sonorità a voce piena a “pianissimi” impressionantemente a bocca chiusa, quasi ventriloqui.

La prima parte si chiude però sul senso della morte che circonfonde Revelge di Des Knaben Wunderhorn; e proprio su questo ciclo si aprirà poi la seconda parte, che da tale serie di Lieder propone alcuni estratti, affiancandoli agli altri autori che si è detto. Appl ne alterna il panteismo fiabesco con quella vis quasi cabarettistica che, paradossalmente, avevano molte pagine dei compositori rinchiusi a Terezín: e impressiona in primo luogo quella singolarissima berceuse che è Wiegala di Ilse Weber, poetessa e musicista tutta da riscoprire. Mentre il desiderio di trascendenza che promana da Urlicht – forse la pagina più immateriale di Des Knaben Wunderhorn – chiude il percorso attraverso il mondo poetico di Mahler e le sue tante possibili ramificazioni. Itinerario, questo, in cui lo spettatore viene accompagnato da Appl con mano maestra: ma non si può tacere del contributo risolutivo offerto dal pianista James Baillieu, tutt'altro che mero accompagnatore, ma autentica interfaccia estetico-musicale del baritono.

La serata successiva ha visto il debutto di una neoformazione: la Camerata Vienna Milano, un'orchestra d'archi (più arpa) che unisce musicisti selezionati tra i Wiener Philharmoniker e l'Orchestra della Scala. Insomma, l' ensemble ideale per una città austroitaliana come Dobbiaco. In tutto quattordici elementi (sei viennesi e otto milanesi), con l'affiatamento del complesso da camera e il respiro della grande orchestra. Diretta – forse più per scrupolo che reale necessità, dato l'organico – da Jurek Dybal, la serata si è aperta, ovviamente, sulla pagina mahleriana concepita per archi e arpa (l'Adagietto della Quinta Sinfonia), chiudendosi invece, a suggellare la parziale italianità della formazione, con il Concerto per archi di Nino Rota. I brani vocali posti al centro – appositamente riorchestrati per gli strumenti in questione – vedevano in primo luogo il Mahler dei Kindertotenlieder: ma, forse danneggiata dal confronto con un artista come Appl ascoltato ventiquattr'ore prima, Ulrike Helzel è apparsa un po' troppo arida timbricamente e convenzionale interpretativamente. Piuttosto fuori stile, poi, lo Schubert di Der Lindenbaum (dalla Winterreise), mentre i ritmi di danza del Lied chopiniano che chiudeva la parte canora è sembrato più confacente ai mezzi della cantante.

Paolo Patrizi

22/7/2025

La foto del servizio è di Max Verdoes.