Quel sangue versato…
Cosa rimane dopo anni, di un delitto? Un'aura, un nome, un'ombra che lentamente evapora nel tempo sino a confondersi con migliaia e migliaia di delitti compiuti nel corso dei millenni. La stessa sorte è serbata all'autore del fatto di sangue, inquilino di uno spazio sospeso tra il ricordo e il sogno, ombra fra ombre, criminale fra criminali, o forse anche vittima tra vittime, le vittime di un fato oscuro che le ha precedute, e nel quale il delitto ultimo trova la sua giustificazione e al tempo stesso la possibilità di un riscatto, o di perdono finale, o del continuare eterno di una spirale di sangue infinita. Ed è il perdono, a ben vedere, la sorte ultima riservata alla stirpe di Atreo, padre di Agamennone e Menelao, la cui storia si intreccia con quella di Clitennestra, sorella di Elena, prima scaturigine della guerra di Troia, stirpe che di delitto in delitto giungerà infine a una sorta di redenzione nella figura di Oreste, figlio di Agamennone e Clitennestra, che, difeso da Atena, otterrà il perdono per il matricidio, mentre le Erinni, simbolo della vendetta e persecutrici degli assassini si tramuteranno in Eumenidi, cioè in divinità della giustizia, chiudendo le infinite catene di delitti istigati dalla Nemesi.
Ma chi è Clitennestra? Una criminale o uno strumento nelle mani del fato? Forse è solo l'anello centrale di una spirale di sangue, madre affranta e ferita due volte (per il primo marito, Tantalo, e il figlio avuto da questi, uccisi da Agamennone pur di averla, e poi per Ifigenia, sacrificata sull'altare di Troia con l'inganno), condannata di fatto a uccidere, a tradire, e poi a essere uccisa? E cosa rimane di Clitennestra, dopo eoni di tempo? Un nome, un nome-simbolo, che svanirà lentamente insieme a tutti gli altri protagonisti di questa immensa faida…
È questo l'ambito semantico nel quale si svolge la bella pièce Clitennestra, tratta dal romanzo La casa dei nomi di Colm Tóibín, adattata con grande afflato emotivo per il teatro da Roberto Andò, in scena allo Stabile di Catania dal 14 al 19 novembre: su un palcoscenico disadorno, che grazie alle scena e alle luci gelide, talvolta psichedeliche, di Gianni Carluccio, si tramuta volta a volta in mattatoio, carcere, reggia, manicomio, lager, e che solo alla fine si svelerà per uno spazio mnestico e onirico, palco di un dramma eterno, i protagonisti si muovono allucinati, esagitando le loro passioni, dichiarando continuamente allo spettatore ciò che sono e che sono condannati a essere per l'eternità, mentre Clitennestra, schiava della sua disperazione, del suo dolore e della sua sete di vendetta, regge le fila dell'azione, in una continua reiterazione che ha il solo scopo di raffermarla nella sua sete di sangue. La sposa di Agamennone non è più, o non più soltanto, il simbolo dell'infamia, del tradimento: è anche una vittima, condannata al delirio, a un delirio che Isabella Ragonese cesella col corpo e con la voce, senza mai un attimo di cedimento, da vera dominatrice della scena. Non una parola si perde grazie a una dizione egregia, non un gesto è caricato o fuori posto, la follia è sempre presente, ma è lucida, lucida oltre l'umano.
Con lei tutta la compagnia, da Ivan Alovisio ad Arianna Becheroni, e poi Denis Fasolo, Katia Gargano, Federico Lima Roque, Cristina Parku e Anita Serafini, creano un alone malefico e sanguigno, dove lo stentoreo declamato si alterna a passaggi con dizione volutamente sporca, quasi a rafforzare l'idea dell'uniformità geografica e temporale di ogni storia di sangue, mentre le musiche, quasi assordanti e modernissime di Pasquale Scialò, scandiscono le varie fasi di un destino ineluttabile. Alla fine, quando tutto è compiuto, gli abiti degli attori (curati da Daniela Cernigliaro), cupi e scuri per tutta la rappresentazione, eccezion fatta per il bianco di Ifigenia e di Elettra, lasciano il posto a vesti chiare, quasi lunari, mentre un velatino cala lento e tutti gli attori poggiano su esso le palme delle mani, svanendo pian piano tra le nebbie del tempo. Anche Clitennestra, forse, ha incontrato le Eumenidi…
Giuliana Cutore
16/11/2023
La foto del servizio è di Lia Pasqualino.
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