Aida
al Comunale di Bologna
Penultimo appuntamento operistico della Stagione Lirica 2017 al Teatro Comunale con Aida di Giuseppe Verdi, in un allestimento curato da Francesco Micheli per l'Arena Sferisterio di Macerata ora riadattato per un teatro tradizionale. Aida mancava dal teatro bolognese dal 2001, quando la diresse Daniele Gatti, allora direttore principale dell'Orchestra del Comunale, protagonista era la compianta Daniela Dessì. Al termine della rappresentazione lo spettacolo ci lascia molti dubbi e più ombre rispetto alle luci. Probabilmente il riadattamento in teatro non ha giovato e forse non è stato curato come avrebbe necessitato giacché alla prima il regista non era presente. Commenti a tergo sostenevano che ormai un'opera come Aida non è più rappresentabile in uno stile tradizionale perché logore e abusate. Francamente non mi convince il concetto, Aida è un'opera che volutamente è ambientata in Egitto, i motivi sono ben noti, al tempo dei faraoni, allora costumi, usanze e modi di vivere erano diversi da oggi. Pertanto portare Aida nella modernità è un azzardo che potrebbe materializzarsi in una lettura ancor più dozzinale della classica proposta.
Micheli sceglie la strada del minimalismo con scene spoglie, che in certi momenti rimandano ad altro regista che ha abusato in tali concetti. La scenografia di Edoardo Sanchi è costituita da due pannelli, uno inclinato sul palcoscenico l'altro che funge da fondale. Sulle prime abbastanza incomprensibile, ma nel corso dell'opera si evince che trattasi di un computer portatile aperto. La vicenda è narrata come fosse un film da vedere sul mezzo più rappresentativo della comunicazione odierna. Infatti, leggendo le note di regia, dopo la recita, è lo stesso regista che conferma tale impressione: il Canale di Suez fu allora un'opera innovativa e altamente tecnologica, pertanto la trasposizione non poteva avvenire oggi che tramite il computer. Idea opinabile ma anche forse logica, tuttavia oltre alla collocazione storica sarebbe servita maggior focalizzazione sui personaggi, i quali si muovono e recitano, per usare un eufemismo, come robot fini se stessi quasi senza anima. Non ci sono soluzioni peculiari né nelle scene intimistiche né nei grandi momenti corali, il tutto, seppur con pulizia, scorre attraverso una freddezza imbarazzante. Durante il preludio sono proiettate alcune immagini storiche, papiri tratti dalla storiografia egizia, ma nel corso della rappresentazione si sfiora il ridicolo poiché a ogni ingresso si legge a caratteri cubitali il nome del personaggio, o in seguito brevi frasi del libretto. Inoltre, è ormai insopportabile il continuo utilizzo della platea come fosse un palcoscenico, il regista lo fa sia durante il trionfo, scena decisamente non riuscita, sia nel finale facendo entrare Aida dal fondo. Le grandi botole da cui "sorgono" i cantanti potrebbero trovare un utilizzo anche apprezzabile, ma quando si riducono nel corso di tutta la rappresentazione all'unica via d'entrata, si scade nel noioso. Ci sono invenzioni discutibili o indecifrabili, una su tutte l'ingresso di Radames al III atto al fianco di Amneris prima del celebre duetto con la protagonista. In generale è una regia che annoia e non trova una lettura che entusiasmi, ed è un peccato perché Micheli ci aveva abituato ad altri tipi di spettacoli. Originale che tutta la vicenda prenda spunto da un racconto, o guidato politicamente (difficile capirlo), dal sommo sacerdote Ramfis, ma quando questo è realizzato con l'utilizzo di tablet si scade nel deprimente. Gli stessi strumenti tecnologici sono in mano al coro in alcuni momenti epici come la scena 2a del I atto, la quale purtroppo non trova una cifra sacrale idonea.
I costumi di Silvia Aymonimo, pur nella loro asciuttezza, sono molto belli soprattutto quelli riservati ai reali, ma colpisce anche il nero e lungo abito di Aida. Azzeccate in questa situazione le coreografie di Monica Casadei, ruvide e stilizzate, ottimamente eseguite dalla Compagnia di Ballo Artemis Danza e dalle Allieve di Arabesque, che vorremmo vedere anche in altre occasioni. Luci ben assortite e funzionali di Fabio Barettin, che attraverso cromatismi diversi focalizzano una certa drammaturgia con suggestione.
Non convince del tutto la concertazione di Frédéric Chaslin, poiché segue una strada propria di grande rispondenza sinfonica, ma non trova una corrispondenza dinamica nelle scene portanti, come l'intero atto III, e nelle parti solistiche spesso poco curate con colori e teatralità rilevanti. È un peccato perché il direttore è un bravo professionista, che in altre occasioni aveva dimostrato ben diverso impeto. Inoltre è stato poco attento alle esigenze dei singoli, e pretendere da un tenore sostituito all'ultimo di eseguire il Si bemolle smorzato di Celeste Aida era impresa persa in partenza. L'Orchestra e il Coro del Teatro comunale erano in gran serata, orchestra lucida e precisa, suono compatto e ben amministrato in tutte le sezioni. Il Coro istruito da Andrea Faidutti era perfettamente calibrato e di grande professionalità, però penalizzato dovendo cantare anche in platea.
Compagnia di canto nel complesso piuttosto disomogenea, la quale ha avuto grandi difficoltà nel seguire una lettura così asettica e poco rifinita, quando invece gli stessi interpreti avrebbero avuto bisogno di cure più amorevoli. Monica Zanettin, Aida, è interprete efficace nella drammaticità, capace di utilizzare con proprietà accenti diversi e fraseggiatrice accurata. Non sempre ci sono stati abbandoni lirici emozionanti ma questo è da ascrivere a una direzione disattenta, poiché il soprano sappiamo, da altre recite ascoltate, che è capace di altro. Nell'insieme una bella prova, la più rilevante dell'intero cast.
Da Antonello Palombi, Radames, che passava all'ultimo momento dalla seconda compagnia alla prima sostituendo Carlo Ventre, non si può pretendere granché. È un cantante di sommaria correttezza, voce abbastanza robusta nell'acuto, ma con tecnica precaria che non gli permette non solo di modulare i diversi registri, ma anche di trovare fraseggio e accento di sostanza. Il ruolo è realizzato a senso unico con l'utilizzo di un canto sempre sul forte o mezzo forte, e nient'altro.
Nino Surguladze, Amneris, è stata una carta non del tutto azzeccata per questo ruolo. La cantante è sempre corretta e mai in nessun momento accenna ad appariscenti mancanze, ma di suo non possiede il volume vocale per il ruolo, e l'accento è limitato per l'altera principessa egizia, anche se la regia vorrebbe ridurla a bambina spaventata, ma lo spartito dice ben altro. Tuttavia, la cantante trova in un fraseggio eloquente e in un senso teatrale forbito un punto di forza.
Dario Solari, Amonasro, è baritono di buone qualità vocali rifinite e robuste ma non sempre utilizzate al meglio quanto ad accento e morbidezza. Notevolmente sotto tono la prova di Enrico Iori, un Ramfis molto usurato che non possiede più uno spessore vocale idoneo. Superiore e ben definito il Re di Luca Dall'Amico, autorevole interprete e preciso nei suoi interventi. Nelle parti minori Cristiano Olivieri era un bravo messaggero, e Beth Hagermannn una corretta sacerdotessa.
Poco efficace la sperimentazione dei sopra titoli utilizzando lo smartphone, notevolmente preferibile la soluzione della proiezione. Durante l'esecuzione applausi scarsi e poco convinti, ma al termine prolungati e di vivo consenso.
Lukas Franceschini
18/11/2017
Le foto del servizio sono di Rocco Casaluci-Teatro Comunale di Bologna.
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