Aida alla Scala
nell'allestimento di Peter Stein
È andata in scena alla Scala l'opera di Giuseppe Verdi Aida, nel nuovo allestimento con la regia di Peter Stein, sulla quale in precedenza si erano sviluppate molteplici polemiche. Il Teatro alla Scala aveva a disposizione nei suoi magazzini ben due produzioni di Aida, entrambe a firma Franco Zeffirelli, una del 1963 ripresa recentemente dopo un accurato restauro, l'altra del 2006 che inaugurò la stagione ed è stata venduta recentemente scatenando le ire del regista fiorentino: il fatto è stato riportato su tutti i giornali. Ad onor del vero la seconda produzione non fu uno dei lavori migliori di Zeffirelli, peraltro ricopiata su un'edizione areniana, e non è da biasimare se l'allora sovrintendente Lissner decise di disfarsene. Restava l'altra che pur dimostrando il suo mezzo secolo d'anzianità aveva molti pregi, e resta uno degli allestimenti storici della Scala, anche per i diversi cast che si sono alternati nel corso delle numerose riprese.
A mio personale giudizio, bene ha fatto il Teatro milanese a proporre un nuovo allestimento che ha molti pregi e un solo difetto. Il difetto consiste nel fatto che il regista ha deciso di eliminare il balletto del secondo atto, definendoli “orpelli” (come da intervista nel programma di sala) e credo che tale considerazione sia del tutto errata e la sua decisione ancor più scellerata ma le colpe vanno additate anche a chi ha permesso tale scelta. Tuttavia, lo spettacolo di Peter Stein è di pregio e con innovative concezioni che non lasciano spazio al trionfalismo, ma entrano visceralmente nell'intimo dei personaggi, in particolar modo nel triangolo amoroso a tre. Le scene geometriche di Ferdinand Wogerbauer ben si dispongono in questa logica, creando effetti di forte impatto pur nella loro semplicità e un cromatismo che spazia spesso tra bianco e nero. Altrettanto ammirevoli i costumi sontuosi di Nanà Cecchi che non s'ispira ad uno stereotipo immaginario da geroglifico, puntando invece su astratte e rifinite tuniche. Dal punto di vista drammaturgico Stein si concentra su una recitazione intima che volutamente narra la triplice vicenda infelice dei protagonisti, ci riesce con garbo e particolare inventiva, rifuggendo da qualsiasi stereotipo. Unica osservazione: non condivido il suicidio di Amneris sulla tomba degli amanti, il suo dolore o rimorso dovrebbe scontarlo vivendo.
Dal punto di vista musicale abbiamo avuto il ritorno di Zubin Mehta sul podio del Piermarini, in sostituzione dello scomparso Lorin Maazel, il quale ci regala un'Aida sontuosa e senza sbavature, ben calibrata nel suono e tenendo sotto controllo un cast per nulla straordinario, riuscendo con dinamica e narrazione a portare in porto la difficile operazione, senza però mettere una personalizzazione tangibile, cui una bacchetta come la sua sarebbe autorizzata. Molto buona la prova del Coro scaligero diretto da Bruno Casoni e di ottima fattura le brevi danze nella scena del gabinetto di Amneris, brillanti le coreografie di Massimiliano Volpini, eseguite dagli allievi della Scuola di Ballo dell'Accademia del Teatro alla Scala.
L'unico elemento del cast ad offrirci una prova positiva è stata Anita Rachvelishvili, Amneris, che sfodera una rigogliosa voce, ben timbrata, con accenti e fraseggio rilevanti, superando anche per personalità interpretativa tutti i colleghi. Delude Kerstin Lewis, Aida, che nel breve spazio di qualche anno ha fornito prove quasi sempre sotto le aspettative rispetto gli esordi italiani. La tecnica è precaria, e solo il centro resta ancora tornito e calibrato, il grave è quasi assente e il registro acuto sempre stridulo e forzato. Fabio Sartori, rientrato dopo un'indisposizione iniziale, risentiva ancora delle non perfette condizioni di salute. Del tenore veneto ho scritto più volte la sicurezza nell'affrontare il ruolo pur con lacune interpretative e timbriche. Non posso che riconfermare tale giudizio, anche se nell'occasione scaligera la sua esibizione era al di sotto del suo standard per i motivi citati sopra.
Autorevole ed in ottima forma Ambrogio Maestri che ha disegnato un Amonasro paterno ma allo stesso tempo guerriero con incisivi accenti. Molto bene Carlo Colombara, il Re, purtroppo relegato nella breve parte del faraone, e meritevoli di plauso gli interventi del messaggero e della Gran Sacerdotessa, rispettivamente Azer Rza-Zada e Chiara Isotton, Solisti dell'Accademia di Perfezionamento per Cantanti Lirici del Teatro alla Scala.
Resta per ultimo Matti Salminen, Ramfis, il quale ha offerto una prestazione che definire imbarazzante è un eufemismo. La voce ormai al caffè sfocata e affaticata, talvolta parlante. Dopo oltre quarant'anni di carriera sarebbe meglio chiudere con più onore.
Teatro gremito in ogni ordine di posto, applausi scrosciati al termine mescolati con isolati “buu” a Salminen e alla Lewis.
Lukas Franceschini
26/3/2015
Le foto del servizio sono di Brescia e Armisano.
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