Aida
all'Arena di Verona
Come di tradizione Aida, l'opera in quattro di Giuseppe Verdi, è il titolo più eseguito nella Stagione all'Arena di Verona. Anche quest'anno ci saranno due diversi allestimenti, quello ideato dalla Fura dels Baus nel 2013 e quello “storico” basato sui bozzetti di Franco Fagioli del 1913 ideato da Gianfranco De Bosio negli anni '80. Lo spettacolo con la regia di Carlus Padrissa e Alex Ollé fu concepito per la stagione del centenario. Ebbe numerose critiche ma anche molteplici apprezzamenti, anche da chi scrive, e resterà tuttavia una messa in scena che difficilmente si scorderà. A distanza di qualche anno è possibile affermare che esso trova una sua specificità nel grande spazio all'aperto ed esprime un'idea moderna, anche se non sempre coerente, che giustamente si stacca completamente dalla tradizione. Altra considerazione è lo scarso apprezzamento del pubblico areniano, il quale preferisce il solco della tradizione, ma è doveroso rilevare che un'alternanza delle produzioni oltre che plausibile è anche doveroso.
La narrazione drammaturgica inizia mentre il pubblico sta entrando nell'anfiteatro, una troupe di archeologi è all'opera per estrarre reperti e inviali al British Museum. Tra i ritrovamenti ci sono simboli ed elementi che poi si vedranno nel corso dell'opera. Le vicende dell'antico Egitto saranno raccontate come un romanzo d'appendice, un flashback, scoperta tra i ritrovamenti. Un passaggio tra il moderno e l'antico che però non è gestito con efficacia poiché il limite del confine non è palese, costumi, scene, sono decisamente moderne, e la commistione tra ieri e oggi non è del tutto riuscita. Una grande mancanza di questa produzione è la completa non considerazione del grande balletto del II atto, aspetto che è poco consono alla struttura dell'opera. Convincono poco i costumi in stile “film di fantascienza” di Chu Uroz, più coerenti le scene di Roland Olbeter, con un'immensa impalcatura al centro e delle grandi dune di sabbia sulle gradinate e illuminate da luci di grande effetto. Sintetizzando si può affermare che l'atto III è il più azzeccato, per la bellissima impostazione notturna, con palme e coccodrilli umani che girovagano nell'acqua. Il meno efficace il II atto nel quale trasformare la grande scena del trionfo in una sfilata di muletti e piccole automobili elettriche non hanno certo corrisposto all'aspetto anche spettacolare che l'opera contiene. Per il resto ci sono scene più azzeccate altre più banali ma il quarto atto con il grande “monumento” (forse della vittoria) che scende e copre a modo di tomba gli infelici amanti è di grande effetto. Resta tuttavia una produzione di forte impatto anche se non sempre lineare, e credo si debba considerare che il team iberico non era cosi esperto di spazi enormi e all'aperto, pertanto qualche soluzione non è particolarmente calibrata.
Sul versante musicale abbiamo trovato Julian Kovatchev sul podio, il quale fortunatamente non si riproduce come nel recente Rigoletto ma riesce in una direzione più sostenuta ma pur sempre nel solco della tradizione, senza un minimo accenno più variegate sfumature ed equilibri orchestrali, compreso il versante drammatico, non elaborato quanto meriterebbe. Molto buona e pienamente convincente la prova del Coro diretto da Vito Lombardi.
Sae-Kyung Rim è un'Aida convincente con voce brunita e buoni mezzi in acuto, smorzature e intenzioni. Il registro grave è meno omogeneo e talvolta il fraseggio non è particolarmente rifinito, ma resta una prova positiva. Molto positiva la prova di Yusif Eyvazov, Radames, tenore in continua crescita artistica. Egli è preciso in tutti i registri e dimostra una sicurezza oggigiorno invidiabile per il ruolo. Dovrebbe curare con maggiore attenzione il gioco dei colori e il fraseggio poiché risulta spesso monotono e con poca scansione d'accenti, ma è forte l'auspicio di un completamento del ruolo.
Molto brava Anastasia Boldyreva, Amneris, la quale possiede una voce possente e armoniosa da buon mezzosoprano, cui si deve sommare una presenza scenica rilevante e un canto forbito ed elegante, curato nei dettagli e nelle sfumature. Peccato sia stata scritturata per questa recita solamente. Positiva anche la prova del baritono Boris Statsenko, Amonasro, un cantante in possesso di una voce robusta e piena e un canto preciso e sicuro, che gli permettono di emergere in particolare nel duetto del III atto, anche se la dizione è appro s simativa.
Di ottima professionalità il Ramfis di Giorgio Giuseppini, cantante incisivo negli interventi a lui riservati , in specie nella seconda scena del I atto , nel quale sfodera accenti ragguardevoli. Deyan Vatchkov è un pregevole Re, Antonello Ceron un bravo messaggero, e Marina Ogii una puntuale sacerdotessa.
Anfiteatro che registrava parecchi vuoti per un titolo “principe” ma , come abbiamo già notato, credo sia il tipo di spettacolo a essere poco accattivante. Successo pieno per tutta la compagnia.
Lukas Franceschini 17/7/2017
Le foto del servizio sono di Ennevi-Arena di Verona.
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