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Giorgio Albertazzi

ipnotico sciamano del Terzo Millennio

Se gli sciamani esistono ancora, Giorgio Albertazzi da Fiesole e primo cittadino del Pianeta Poesia, è sensibile, ipnotico sciamano del Terzo Millennio.

Sciamano come sono anche i direttori d'orchestra, certo. Alcuni. E se quelli, (saccheggiando Jankélévitch e neanche tanto) sono officianti delle nozze tra la musica e l'ineffabile, Albertazzi l'ineffabile lo suona e lo dirige. Solo che il suo è quello della poetica (non la “povetica”, con cui fa ironica differenza) della filosofia del vivere.

Ma con leggerezza.

Quella che è volo d'uccello e non svolazzare di piuma.

Quella che Italo Calvino – nelle “Lezioni americane” progettate e mai portate a destinazione, alla Harvard University, per fortuna pubblicate postume nel 1988 – annovera tra i valori letterari da conservare nel millennio che verrà. Ma ci respiriamo dentro già da 14 anni, perciò Albertazzi si prende cura d' “incastonarla” hic et nunc, la Leggerezza secondo Calvino e secondo lui, ove sia possibile. Da Parigi - dove l'idea è nata, complice Maurizio Scaparro al Théâtre des Italiens - a Catania, dove “lo scrittore che recita” (come ama definirsi egli stesso) è andato in scena al Teatro Abc, su regìa di Orlando Forioso.

E del primo dei “Memos for the next Millennium” (che con dirompente saggezza Calvino collocava davanti a “rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità”) Giorgio lo Sciamano conserva tutto: Medusa e Perseo, l'elmo di Ade ed i sandali alati, e l'alato cavallo Pegaso e “Under love's heavy burden do I sink”, lo sprofondare di Romeo sotto il peso dell'amore. E Lucrezio e Ovidio e Dante e Cavalcanti. E Milan Kundera.

Agire “per sottrazione di peso” si addice a Giorgio - professionista del rituale e, negli ultimi tempi, attraversato da umanesimo e umanità commoventi - così come la perdita del peso corporeo ad uno sciamano. E autenticamente “naturale” è per lui reagire alla pesantezza della vita senza mai rinunciare a (s)muovere pensieri e parole, affrontando ogni sorta di sistema, dal massimo al minimo, dal software, “filo sottilissimo che regge la scienza”, all'imperatore Adriano secondo la Yourcenar le cui “Memorie” lo videro a lungo mattatore e di cui scorre ora un'immagine sullo schermo, al fondo della scena. Bello come il sole, l' “Imperattore” biancovestito, catturante nella sequenza di “L'anno scorso a Marienbad” di Resnais, dove lui (ma si può?) si trova “detestabile”.

Sciamano dunque maestro direttore e concertatore, Albertazzi.

La sua bacchetta è il bastone a cui s'appoggia appena, facendo di necessità un vezzo, mentre con balzo ironicamente ferino si consegna al pubblico.

La sua partitura è innanzi tutto l' “allieva” nonché attrice e assistente, Stefania Masala, ma anche i fogli graziosamente dispersi sul tavolo in una scena punteggiata da tele e quadri ancora da collocare in un immaginario studio ancora da arredare o forse è solo una sala prove aperta al pubblico.

Anca Pavel, al violoncello, è solo il prolungamento della “grande orchestra” che in realtà è il suo respiro, la sua anima, il suo talento. La sua presenza sic et simpliciter. Con leggerezza pone e ripone una seggiola, vi si siede per qualche istante, le mani disegnano l'etere. Ed è già rito.

Non è lui ad indossare la poesia ma la poesia ad indossare lui. Giorgio lo Sciamano abita il verso, ci si siede sopra, lo nutre, lo visita, apre finestre su finestre. Ti restituisce“La pioggia nel pineto” di D'Annunzio come, dopo anni di canti e controcanti, mai avresti sospettato che fosse. Del V Canto dell'Inferno di Dante, poi, fa un miracolo particolare e universale, blasonatissimo ma accessibile a tutti e senza le semplificazioni nazionalpopolari alla Benigni.

Intorno è puro incantamento. Lo spezzano solo gli applausi e le chiamate che lui raccoglie con grazia e stupore.

E chissà se, nella sua speciale relazione con lo spirito degli dei, lo Sciamano non possa ripristinare l'armonia necessaria per una vita in cui conoscersi e, finalmente, riconoscersi.

Carmelita Celi

27/3/2014