Alceste
l'aulica perfezione di Gluck
Scevra di qualsiasi orpello o concessione al gusto imperante, Alceste è l'opera di Gluck che maggiormente attinge a un ideale di aulica semplicità, totalmente votato alla verità drammatica del testo. Successiva alla versione su libretto italiano di Ranieri de' Calzabigi, in scena a Vienna nel 1767, la redazione pensata qualche anno dopo per il pubblico parigino, siamo nel 1776, e ascoltata al Teatro dell'Opera di Roma rappresenta la volontà di portare la riforma melodrammatica nel regno opulento della tragédie lyrique. Un ordigno che non manca di sconcertare gli spettatori coevi. Oggi che il capolavoro gluckiano è acquisito alla sensibilità moderna, ma ancora non completamente vista la rarità delle sue esecuzioni, possiamo apprezzarne il passo ieratico, quasi oratoriale, nobilitato dalla concertazione attenta ma non algida di Gianluca Capuano. Il direttore non si perde nelle atmosfere di perenne lamentazione, ma le esalta senza scadere mai nel retorico, creando un arco narrativo coerente che giunge alle radici dell'emotività. Perché Alceste vive in periglioso equilibrio fra la vita e la morte, in un regno perennemente minacciato dalle tenebre, sulle quali trionfa il sentimento d'amore. La volontà di Apollo comanda che il re Admeto muoia, a meno che qualcuno non offra la sua vita per salvarlo. Sarà la moglie Alceste a incarnare il ruolo della vittima sacrificale. Una situazione che accende la reciproca dedizione della coppia. La risoluzione avviene per mano di Ercole, la cui possanza disperde le forze infere, riportando equilibrio in un mondo turbato.
Sfrondato dei suoi elementi comici, il dramma di Euripide si mostra in tutta la sua potenza. Lo spettacolo di Sibi Larbi Cherkaoui, proveniente da Monaco di Baviera, risolve nella danza le sublimi atmosfere gluckiane. Il ritmo imposto allo spettacolo sfugge qualsiasi pericolo di staticità, in un vero tripudio teatrale. Il movimento coreutico continuo a volte può distrarre dall'interiore rovello dei personaggi, ma fornisce un afflato corale, inteso in senso tragico, all'azione. Poche figure nere issate su trampoli bastano a rendere il terrifico alito della morte, il suo sbattere d'ali al cui fremito non possiamo esimerci dal tremare. Precari destini degli uomini. Del resto è qui che nasce il teatro d'opera, sul labile confine fra l'esistere e il non essere, nel canto struggente con il quale Orfeo ammansisce le forze oscure. Lodevole la prova dell'orchestra, dai colori sempre caldi e avvolgenti; non da meno il coro. Cast di grande affiatamento e omogeneità. Marina Viotti è un'Alceste di spessore ed emotivamente intensa. Juan Francisco Gatell è un Admète molto musicale, fragile e dolente. Il registro centrale non è sempre del tutto a fuoco, ma il personaggio risalta comunque con toccante evidenza. Luca Tittoto risolve con vigore il duplice ruolo assegnatogli, quello del Grand Prêtre e quello di Hercule. Ottimo il resto del cast. Teatro piuttosto pieno per un titolo non fra i più popolari, e di questo non possiamo che rallegrarci.
Riccardo Cenci
11/10/2022
La foto del servizio è di Fabrizio Sansoni.
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