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Prigionia e libertà: S. Cecilia per Amnesty International

Pappano dirige Dallapiccola e Beethoven

Non è un caso che Antonio Pappano, nel confezionare un programma incentrato sulle tematiche della prigionia e della libertà, abbia deciso di accostare Ludwig van Beethoven a Luigi Dallapiccola, due autori accomunati dalla vocazione europea del loro pensiero e dalla tensione morale che accompagna la loro esperienza creativa. Tre serate che l'Accademia di S. Cecilia dedica espressamente ad Amnesty International ed al suo impegno per il rispetto dei diritti umani, presenti alla prima il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed il Presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso. Peculiare la formula adottata, una sorta di percorso ininterrotto che inizia con la scena del carcere dal Fidelio, conducendo l'ascoltatore attraverso Il prigioniero di Dallapiccola, sino agli ultimi due movimenti della Nona di Beethoven.

Il senso di oppressione che esala da quello che forse è l'episodio più potente dell'unica opera teatrale creata dal compositore tedesco presenta affinità atmosferiche con la partitura dell'autore istriano, anche se nel primo la sezione conclusiva dell'aria di Florestano, con la sua tensione visionaria, fa presagire il raggiungimento della vagheggiata libertà, mentre nel secondo i momentanei slanci vengono subito frustrati, l'effimero balenare della speranza si rivela parte del supplizio. Quando il carceriere pronuncia le parole: “Fratello…spera…”, dietro l'apparente dolcezza l'ascoltatore percepisce un accento gelido e beffardo, per nulla rassicurante. Profonde motivazioni artistiche e morali spingono i due compositori nella loro ricerca. L'opera di Dallapiccola si nutre delle esperienze personali del suo autore, dei drammi trascorsi da un uomo che ha dovuto fronteggiare entrambi i conflitti mondiali, confrontandosi con l'ingiustizia e la crudeltà. Il prigioniero elude il contesto storico della vicenda, la repressione di Filippo II in seguito alla rivolta dei Paesi Bassi del 1568, per farsi universale. Vi è un qualcosa di kafkiano nella tragedia dell'uomo imprigionato per oscure ragioni, dapprima torturato fisicamente, poi psicologicamente, ed infine condotto al rogo. Il libretto deriva da un racconto di Villiers, intessuto di suggestioni provenienti da un testo di Charles de Coster, ma dietro la figura del Grande Inquisitore, al quale spetta il compito di svelare l'inganno perpetrato ai danni del prigioniero, non è arduo scorgere le ombre di Verdi e Dostoevskij.

Dopo il pessimismo tragico di Dallapiccola, il finale della Nona rappresenta un bagno di idealismo, un sogno utopico di fratellanza universale. Come di consueto la lettura di Pappano è ricca di pathos. Nel Prigioniero smussa un poco le taglienti asperità della partitura, riconducendo il dettato musicale in un ambito tardoromantico, offrendo un'esecuzione altamente drammatica. Riguardo i solisti, Ángeles Blancas Gulin (la madre) mostra un notevole temperamento, anche se la voce risulta forzata nelle note estreme. Morbido ma poco incisivo Louis Otey (il prigioniero), sovente coperto dal magma orchestrale, bravo dal punto di vista interpretativo Stuart Skelton (carceriere-il Grande Inquisitore), anche se non sempre squillante nell'acuto, protagonista anche del brano dal Fidelio. Ugualmente coinvolgente il finale della Nona, di grande impatto emotivo. Quartetto solistico composto da Rachel Willis-Sørensen e Andrea Baker, oltre ai già citati Otey e Skelton.

Riccardo Cenci

29/4/2014

Le foto del servizio sono di Riccardo Musacchio & Flavio Ianniello.