Gli amori d'Apollo e Dafne
alle Innsbrucker Festwochen der Alten Musik
Come consuetudine una delle produzioni delle Innsbrucker Festwochen der Alten Musik è riservata ai cantanti usciti dal Concorso Cesti, appuntamento fisso nella parte finale del Festival, che nell'odierna edizione hanno interpretato l'opera Gli amori d'Apollo e Dafne di Francesco Cavalli. La storia di Dafne è un soggetto frequente nell'opera sin dagli esordi, a cominciare da Jacopo Peri e Jacopo Corsi, su libretto di Ottavio Rinuccini, musicato nel 1608 anche da Marco da Gagliano. Nel 1627, Heinrich Schütz compose un dramma musicale perduto su un libretto di Martin Opitz basato su Rinuccini. Tra le prime opere di Georg Friedrich Händel troviamo ancora traccia della vicenda e passando al secolo XX non possiamo dimenticare Daphne di Richard Strauss.
Gli amori d'Apollo e di Dafne fu rappresentata per la prima volta nel 1640 nel Teatro San Cassiano di Venezia, un teatro che fu inaugurato solo tre anni prima per le rappresentazioni di opere pubbliche. Al contrario, all'inizio del secolo, le opere erano create su misura per feste di corte come i matrimoni e non dimentichiamo che questa prassi non solo fu origine di capolavori dell'opera barocca, ma ancor più fu un efficace mezzo che oggi chiameremmo di marketing ed esportazione. Francesco Cavalli fu uno dei padri fondatori dell'opera lirica e in particolare quella veneziana. Nacque nel 1602 a Crema, ma sviluppò la sua arte nella città veneta, dove arrivò alla carica di Maestro di Cappella di San Marco, ed ebbe tra i suoi allievi anche Barbara Strozzi. Il suo più grande successo fu nel 1649 con Giasone su un libretto di G.A. Cicognini, compose opere anche per altre città italiane, le quali furono diffuse anche a Parigi ove il compositore soggiornò per un breve periodo (1660-1662) per le nozze di Luigi XIV. Le sue ultime opere non ebbero un rilevane successo perché pare obsolete nello stile. Dopo la sua morte, gran parte delle sue composizioni furono inserite nella collezione del nobile veneziano Marco Contarini, al quale dobbiamo la loro tradizione fino ai nostri giorni.
L'opera in oggetto s'identifica nelle numerose trasformazioni e mascherate, tra il reale e l'irreale, il sogno e la realtà. Nella fisionomia musicale, peraltro molto variegata, spicca la rilevante parte di danze e cori. Imperioso il ruolo del recitativo che s'impone anche sulle arie, le quali sono rappresentate dal “lamento” in senso declamato, stile che ha caratterizzato tutta l'opera barocca del ‘600. La musica è dolce e armoniosa, le allusioni alla natura sono molteplici, con effetti strumentali di grandi fatture e incantevoli soluzioni.
La rappresentazione doveva tenersi nel cortile interno della Theologische Fukultat, le avverse condizioni climatiche hanno imposto la più sicura ma afosa Aula Magna della sede Universitaria della capitale Tirolese. Tuttavia per quanto riguarda l'esito dello spettacolo non ci sono stati cambiamenti sostanziali. Probabilmente il tallone d'Achille della produzione è stato lo spettacolo ideato da Alessandra Premoli. Le idee, o meglio le concezioni, espresse dalla regista nel programma di sala non trovavano riscontro sulla scena. A dire il vero era piuttosto irrazionale e ogni possibile lettura va inquadrata nel tentativo o possibilità che questo possa essere. Il sogno è vissuto dalla protagonista in stato di coma, pertanto siamo all'interno di un ospedale, dove tutto è bianco e forse molti personaggi sono rappresentati come dementi. Una visione che ci lascia delusi poiché tutti gli elementi della natura non sono nemmeno citati, molti travestimenti o cambio personaggio sostanzialmente di difficile lettura. Funziona in parte solo il gioco delle ombre che dovrebbe implementare la drammaturgia del sogno, ideati da alTREtracce, ma il gioco della magnificenza e della sorpresa degli spettacoli barocchi era totalmente assente, probabilmente voluto. I costumi di Marianna Fracasso, purtroppo solo in chiave cromatica bianca, erano funzionali ma avrebbero avuto un peso ben differente se utilizzati con altra colorazione, e della scena non c'era traccia.
L'orchestra Accademia La Chimera, su strumenti originali, è un giovane complesso barocco di Saluzzo che fornisce buona prova, un linguaggio vitale e capace di accompagnamenti molto pertinenti esprimendo un insieme sonoro ben collaudato e rifinito. Sul podio Massimiliano Toni avrebbe offerto anche una consistente musicalità ma è lo stile e la scelta dei tempi a lasciare spesso perplessi. La strabiliante forma musicale a effetto veniva solamene accennata, comunque la lettura vantava una professionalità certamente di rilievo.
Sul cast, molto volenteroso, è doveroso fare una considerazione. Quasi tutti gli spartiti barocchi, questo di Cavalli peculiarmente, non presentano una scrittura esecutiva difficoltosa, ma richiedono uno scavo profondo sull'uso del fiato, dei colori, del fraseggio sulla parola, elemento imprescindibile. La presenza nel cast di molti cantanti stranieri ha messo in luce la difficoltà interpretativa dell'opera. Infatti, solo i due italiani in locandina potevano vantare una perfetta aderenza di stile e un uso della frase che mettevano in risalto attraverso un idoneo accento. Giulia Bolcato, ormai già affermata interprete anche in altri repertori, si produceva in un Amore frizzante ma altrettanto lieve, e in una raffinata esecuzione. Altrettante lodi vanno al giovane Andrea Pellegrini, (Sonno, Giove, Penèo) artista in possesso di ottime qualità, una voce rifinita in tutte le sezioni e non meno ragguardevole, capace di variare il colore per differenziare i personaggi.
Non senza merito anche gli altri interpreti, dei quali purtroppo Eléonore Pancrazi (Aurora, Ninfa, Musa) fattasi annunciare indisposta ha rinunciato a cantare apparendo solo come attrice, mentre le sue parti sono state eseguite delle colleghe fuori scena. Sara-Maria Saalmann era una Dafne molto partecipe e di buon gusto esecutivo, Rodrigo Sosa Dal Pozzo (Apollo) è un controtenore preciso ma poco espressivo. Isaiah Bell (Morfeo, Cirilla, Pastore) era poco partecipe e spesso distaccata, mentre era troppo enfatica e caricata Isabelle Rajall (Itaton, Venere, Filena, Musa).
Più valido il giovane finlandese Juho Punkeri (Titone, Cefalo, Pan) che vantava una ragguardevole voce ben amministrata nel fraseggio, e altrettanto si può dire per la valida Deborah Cachet (Procri, Ninfa, Musa). Meno risolto interpretativamente e vocalmente Jasin Rammal-Rykata (Panto, Alfesebio, Pastore).
Serata molto peculiare e di raro ascolto, il pubblico che riempiva la sala ha decretato al termine un autentico trionfo a tutta la compagnia.
Lukas Franceschini
31/8/2018
Le foto del servizio sono di Rupert Larl.