RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Il Poeta e la Rivoluzione

Il debutto di Andrea Chènier, opera originariamente prevista nel cartellone 2017/2018 della stagione lirica del Bellini di Catania per il maggio 2018, con un cast che prevedeva il tenore Hector Lopes nel ruolo eponimo, Alberto Gazale in quello di Gérard e Amarilli Nizza quale Maddalena di Coigny, in un nuovo allestimento per la regia di Vincenzo Pirrotta e la direzione di Miguel Ortega, è stato spostato all'autunno, e precisamente al 30 ottobre (con repliche fino al 7 novembre) per motivi squisitamente economici, naturalmente con un cast in massima parte diverso, e in un allestimento che sostanzialmente ripropone quello del 2007, anno dal quale il capolavoro di Umberto Giordano manca dalle scene catanesi.

La regia, affidata a Giandomenico Vaccari, ha puntato soprattutto sull'aspetto storico della vicenda, riuscendo a ben sottolineare il fatto che in Andrea Chénier il vero protagonista è la Rivoluzione Francese, con le sue più che giuste rivendicazioni sociali, con il suo possente anelito alla democrazia diretta, ma al contempo con quei sanguinosi eccessi che purtroppo, ieri come oggi, sembrano essere il corollario ineluttabile di ogni violento rivolgimento politico. Sfruttando l'allestimento del 2007, caratterizzato da un'enorme statua di Marat che campeggiava sulla scena per tutto il secondo quadro e da una sorta di praticabile a cornice sul quale agivano di volta in volta armigeri, popolino e i giudici del tribunale che avrebbe segnato la condanna a morte del poeta, il regista, grazie a un uso accorto delle masse corali e delle comparse, ha saputo tratteggiare efficacemente l'atmosfera convulsa ed esagitata degli anni più bui del Terrore, segnato dal fanatismo rivoluzionario, spesso fine a se stesso, e dalle uccisioni indiscriminate di tutti coloro che venivano, più o meno a ragione, designati come controrivoluzionari. Su questo cupo sfondo storico si muovevano tutti i personaggi secondari che affollano lo Chénier, personaggi portavoce delle varie anime del 1789, dagli spioni come l'Incredibile, ai fanatici come il sanculotto Mathieu, detto “Populus”, sino alla commovente Madelon, esemplata, nella sua cieca devozione alla patria e alla Rivoluzione, sul modello delle eroiche donne spartane.

Questo variopinto e caotico campionario di umanità si contrapponeva in maniera quanto mai netta alla fastosa scena del primo quadro, quella del ballo in casa Coigny, con movimenti e disposizioni della masse molto più lenti, manierati, quasi leziosi, del resto assolutamente in linea con le indicazioni del librettista Illica e con la musica di Giordano, in special modo con quella gavotta che riprende imperterrita dopo l'irruzione del popolo e la ribellione di Gérard, a sottolineare l'ottusa cecità di una classe nobiliare che, ostinandosi a difendere i propri privilegi, correva a capofitto verso la rovina totale. Non si capisce tuttavia perché il regista, sul finire del primo quadro, abbia voluto concludere con gli ospiti che si congedano bruscamente dalla Contessa e non, come prevede il libretto, con la ripresa della danza interrotta, cosa che avrebbe ribadito ancor più la distanza tra nobili e popolo: la brusca conclusione della scena sulle note della gavotta ha invece segnato come una sorta di oscura presa di coscienza della nobiltà, che certo Illica non doveva avere in mente.

Francesco Verna e Lorena Scarlata.

I costumi, curati da Giovanna Giorgianni, si sono attestati su una discreta coerenza storica di fondo, anche se una maggiore cura cromatica e una più accentuata sontuosità, quest'ultima almeno nel primo quadro, non avrebbero guastato; ben tipizzati invece, pur all'interno di una rivoluzione molto di maniera, quelli degli altri quadri. Tuttavia, un più accorto disegno luci avrebbe senz'altro valorizzato meglio l'allestimento, focalizzando l'attenzione sui personaggi e lasciando in ombra una certa nudità del palcoscenico che non poteva essere certo compensata dalle masse corali, del resto spesso alquanto statiche come anche le comparse.

Sul versante musicale, la direzione di Antonio Pirolli ha optato per tempi in linea di massima equilibrati, riuscendo a trarre dall'orchestra del nostro teatro un colore sontuoso e incisivo; quel che forse ha nuociuto, e senz'altro ai cantanti che talvolta risultavano sovrastati, è stata una sonorità spesso eccessiva, unita a una tavolozza agogica generalmente carente di quelle raffinate sfumature timbriche che di solito non mancano agli strumentisti del Bellini. Di buon livello invece le prolusioni e gli assolo, dove gli esecutori sono riusciti a trovare accenti e sonorità davvero significative. Buona la prova del coro diretto da Luigi Petrozziello, che sembra aver ridato nuova coesione e rinnovato slancio a una compagine che ha saputo imprimere il giusto afflato e notevole irruenza alle parti affidatele.

Attenta la scelta dei comprimari, davvero importanti in un'opera come lo Chénier, dove la storia d'amore dei protagonisti è solo una sfaccettatura di una vicenda che trova il suo reale fulcro nel popolo e negli ideali spesso traditi di ogni rivoluzione: Lorena Scarlata, nel doppio ruolo della Contessa di Coigny e della Madelon, ha segnato col suo intervento nei panni della povera madre uno dei momenti più alti e toccanti della messinscena, quasi un prezioso, doloroso cameo cui la sua voce è riuscita a infondere tutto il disperato dolore e la toccante rassegnazione dell'infelice cieca. Gradevole la prestazione di Sonia Fortunato, la mulatta Bersi, come anche quella di Alessandro Busi, il fanatico Mathieu, al quale ha prestato una sanguigna espressività ben in linea con il personaggio; Saverio Pugliese, nel doppio ruolo dell'Abate del primo quadro, e dell'Incredibile, ha reso con istrionica disinvoltura il ruolo del confidente alleato e istigatore di Gérard, grazie anche a una voce tecnicamente abbastanza agguerrita e a una dizione chiara e ben scandita. Completavano il cast Enrico Marchesini (Roucher) Carlo Checchi (Pietro Fléville, il carceriere Schmidt e Dumas) e Gianluca Failla (Fouquier Tinville e il Maestro di Casa).

Hovhannes Ayvazyan e Amarilli Nizza.

Francesco Verna, chiamato a sostituire per un'improvvisa indisposizione nel ruolo di Gérard il baritono Marco Di Felice, ha affrontato un ruolo dalla vocalità abbastanza impervia con grinta e professionalità, curandone con attenzione l'aspetto drammatico con una gestualità incisiva e con un'ottima resa scenica. Baritono dalla vocalità chiara anche se non eccessivamente possente, ha dato prova di musicalità e di sicurezza tecnica, il che gli ha permesso di sfoggiare un suono sempre ben coperto e immune da forzature, e non è azzardato supporre che sonorità orchestrali più sfumate gli avrebbero consentito di emergere ancor meglio.

Amarilli Nizza, Maddalena, pur confermando le sue doti sopranili, non è riuscita però a infondere al personaggio la giusta dolcezza di emissione né un adeguato controllo dei fiati, specialmente nel celebre “La mamma morta” e nel duetto finale: spesso affaticata, forse non in ottima forma e incline a forzare, mostrava purtroppo talvolta acuti scoperti e abbastanza aspri, oltre a un vibrato talora fastidioso, tutte carenze che hanno reso la sua interpretazione alquanto disomogenea e non all'altezza della sua consueta professionalità.

Il tenore armeno Hovhannes Ayvazyan, nel ruolo eponimo, ha esibito una vocalità stentorea e prorompente ben adeguata al personaggio: espressivo nel fraseggio, dotato di ottima dizione e di un'eccellente tenuta di fiato, ha affrontato in maniera sicura e tecnicamente abbastanza agguerrita le difficoltà della parte, dando prova di buone attitudini drammatiche che gli hanno permesso di scolpire efficacemente l'infelice poeta, sia nel suo aspetto patriottico che in quello amoroso. Tuttavia, una maggiore oculatezza nei passaggi di registro gli avrebbe consentito di trarre il meglio da una voce molto interessante da un punto di vista timbrico e dotata di una notevole estensione.

Giuliana Cutore

31/10/2018

Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando.