RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Assurdo come Ionesco e surreale come Buñuel

The exterminating angel

“Sono così felice. Non assisterò allo sterminio”, dice qualcuno e cade, finalmente, in un coma liberatorio. Una lei, invece, sbotta: “Non m'importa di morire. Ma non così, con tutta questa gente intorno. Io voglio morire sola con te, Eduardo”.

Assurdo come Eugène Ionesco e surreale come Luis Buñuel (“El angel exterminador”, del 1962, fu tra i suoi film messicani) di cui è in qualche modo figlia legittima seppure musicalissima e ribelle, “The exterminating angel” - nuova opera di Thomas Adès, londinese, classe 1971 - in “prima” assoluta a Salisburgo, è una delle sfide più intriganti del Festival.

Il libretto – scritto a quattromani da Adès e Tom Cairns, che firma la regìa, sulla base della sceneggiatura originale di Buñuel e Alatriste – cattura almeno quanto la magione dei Nòbile, in cui una comitiva di borghesi di Città del Messico, di ritorno dal teatro dove ha appena assistito ad un'opera lirica, rimane imprigionata. Non si sa come, ché la porta della stanza è aperta. E tuttavia se la servitù, come i topi che abbandonano per primi la nave che affonda, lasciano la casa in tempo, gli ospiti, invece, non riescono a fuggire per una ragione sconosciuta giacché nulla sembra impedirlo. Passano i giorni, viveri e acqua cominciano a scarseggiare, abbonda l'immondizia, padroni di casa e invitati si ammalano e soprattutto, al diavolo l'etichetta: i “perfetti” borghesi finiscono per comportarsi da selvaggi.

“La vicenda non potrebbe essere più operistica – annota l'autore – In ogni opera lirica si parla sempre del tentativo di venir fuori da una situazione particolare”.

Tra asprezze alla Alban Berg ed aperture liriche, sinuose, da soundtrack un po' alla Korngold – non senza indulgere al valzer, dolente, sarcastico invito ad ignorare la tragedia, alla maniera della Vienna felix – la scrittura orchestrale di Adès, sul podio a dirigere l'Orchestra sinfonica dell'Orf, radiotelevisione austriaca, si avvale di due colori e calori espressivi. Da un canto, le percussioni: sontuose, maestose, minacciose. “Buñuel era ossessionato dai tamburi di Calanda, la sua città natale, che durante la Settimana Santa suonava tre giorni e tre notti di seguito – spiega il compositore – Per anni ho pensato di metterli nell'opera finché mi sono accorto che l'interludio dopo il primo atto aveva la stessa struttura ritmica, insolitamente lunga come i tamburi di Calanda. Era giusto la qualità militare che stavo cercando”.

Dall'altro, le Ondes Martenot. Onnipresenti e inesorabili già prima che lo spettacolo vero e proprio avesse inizio, rimangono finanche in contemporanea con i suoni dell'orchestra. Quasi fosse la voce persistente dell'Angelo tanto assente quanto deciso a seminare una “pestilenza” che qui non si fa fatica ad associare alla depravazione della classe media.

Esperpento al cinema e grottesco in musica – si veda la scrittura di certe voci femminili e maschili che sono sorprendentemente stridenti e destabilizzanti – eppure verosimilmente urgente, la parabola di The exterminating angel che Buñuel insisteva nel circoscrivere alla condiciòn burguesa, in Adès diventa parabola umana tout court che a magnifici momenti corali di prepotente effetto alterna punte di assurdo parlare senza dire. Esempio amaramente ilare è la rimbeccata di uno dei personaggi, Francisco. In piena, sinistra, incipiente catastrofe, si permette di osservare: “Perdonami, Lucia, non ci sono cucchiaini da caffè ma da tè. Questi sono troppo grandi, non posso mescolare il caffè con un cucchiaino da tè”. E sembra di sentire la prolissa senselessness della conversazione dei signori Smith nella Cantatrice calva di Ionesco. E, a proposito di calvizie, è ancora imperante, martellante, esilarante assurdo nelle conclusioni del Doctor Carlos Conde che in nell'ospite di turno afflitto da malessere vede un malato terminale e, alla domanda di rito: “Come va la sua malattia? C'è speranza?” non si fa scrupolo di replicare: “Nessuna, tra tre mesi sarà completamente calva”. Non è da meno chi rintuzza: “E' fortunata ad avere un buon teschio”. In mezzo a loro, una creatura enigmatica di nome Leticia e soprannominata “Valkyrie” non parla quasi mai – salvo suonare la stessa pièce di Paradisi in apertura di serata e in pieno disastro – e non dice mai “Voglio andare a casa” quasi avesse dimenticato la battuta.

Se del personaggio del Doctor Carlos diremo subito il carismatico interprete, John Tomlinson, aggiungeremo, qui ed ora, solo i primi ruoli per meri motivi di spazio giacché di una squadra di talentuosissimi caratteri si tratta: David Adam Moore (Colonel Alvaro Gòmez), Thomas Allen (Alberto Roc), Audrey Luna (Leticia Maynar), Iestyn Davis (Francisco), Amanda Echalaz e Charles Workman (i coniugi Nobile), Sten Byriel (Señor Russell).

Alla fine, la chiusura è apertura. Miraculously they escape, recita la didascalia. Gli ospiti, ridotti a larve, scappano. Non si sa come. Ma l'apertura ridiventa chiusura. Tra saluti, baci, abbracci – e “veri” ovini che seguitano ad attraversare la scena – i cosiddetti fuggitivi non riescono a lasciare il teatro. Non si sa come.

Carmelita Celi

13/8/2016