Barcellona
Lo show di Netrebko, parenti e amici
Il grande soprano russo aveva già debuttato al Liceu in una versione di concerto di Iolanta con la compagnia del Mariinski diretta da Gergiev. Impressionante. Aveva anche dato un concerto al Palau de la Música, bello, ma come usa praticamente sempre, a meno che non faccia delle canzoni russe con Barenboim al pianoforte, non sola. L'accompagnava allora il tenore che aveva conosciuto da poco a Roma durante Manon Lescaut diretta da Muti ma la maggior parte del concerto era in mano di lei, con un paio di duetti e un'aria a carico di Yuzif Eivazov. Il direttore, come altre volte prima o dopo in questi casi era un italiano molto competente, Zanetti, Armiliato, non ricordo; in tempi più recente la bacchetta era passata a Bignamini. Adesso, nei suoi due concerti in Spagna (il primo a Madrid – con biglietti carissimi, 100 euro di più che a Barcellona, dove comunque il biglietto più caro era appena al di sotto di 300, ed il teatro era praticamente pieno), probabilmente come per altri fatti in Russia con suo marito ma anche con la collaborazione di Luca Salsi, è venuta con l'ovvio Eyvazov (infatti a inizio stagione li si annunciavano solo loro due senza programma e maestro) ma anche con Christopher Maltman, eccellente baritono inglese. Il programma era identico, a parte il fatto che all'ultimo momento la sinfonia da I Vespri Siciliani veniva sostituita dal preludio del Macbeth : non sono stato in grado di sapere o intuirne il motivo.
A Madrid era stata tagliata un'aria di quest'ultima opera, La luce langue, che qui invece non si è vista da nessuna parte. La Netrebko si esibiva in arie dal Don Carlo, La Wally e Gianni Schicchi e in duetti da Otello e Andrea Chenier (con Eyvazov), e da Macbeth e La vedova allegra (con Maltman) e finiva la prima parte, tutta dedicata a Verdi, con il terzetto che chiude il primo atto de Il Trovatore. In questo e nel duetto del finale dell'atto terzo di Macbeth la Netrebko è stata memorabile e si vede che la frequentazione dei personaggi sul palcoscenico le giova. La sua Lady è molto più interessante della sua prima volta a Monaco di Baviera e la Leonora stupenda come sempre. Anche la grande aria di Elisabetta, Tu che le vanità, le è congeniale ma si sente anche che non ha cantato ancora tutto il ruolo. Non ha fatto mai Desdemona né Lauretta e non penso che le farà in futuro. Malgrado i bellissimi piani (compresa una corona di gusto discutibile nel pietà dello Schicchi – che faceva le delizie del pubblico) la voce è ormai troppo oscura e pesante per entrambi i ruoli. La Wally (Ebben ne andrò lontana) era sensazionale (senza corone) ma il personaggio è ancora più in erba di quello della regina nel Don Carlo. Il duetto finale dello Chénier è ancora più memorabile di quello scaligero, ma la sua Hanna Glawari ha più della signora simpatica e un po' scalmanata che vediamo su Facebook o Instagram che della diva dell'operetta viennese. Neanche Maltman pareva molto convinto del suo Danilo. L'eccellente baritono ha deciso di cantare con esuberanza a scapito un po' della diversità dei personaggi e con voce bella, scura e possente ha conquistato il pubblico con Pietà, rispetto, amore e Nemico della patria, più le pagine menzionate e il grande duetto del quarto atto de La forza del destino (che apriva la seconda parte anche se Verdi era stato l'autore unico della prima) con il tenore. In alcuni momenti pareva che il fiume di voce non fosse sempre sotto controllo.
Eyvazov era quello di meno volume e di qualità di voce scarsa. Qualche recitativo stonato vistosamente alla fine (Luisa Miller, dove finiva anche a modo della tradizione ma in compenso senza cabaletta), dei piani sbiancati e un fraseggio sempre uguale e monotono (compreso lo Chenier che aveva imparato con Chailly per la Scala ma che pare abbia dimenticato – anche con errori nell'italiano), non sembravano inquietare quasi nessuno (perfino c'è stato chi dall'alto ha gridato sei grande), e facevano ancora più male nell'Addio alla madre dalla Cavalleria di Mascagni e, manco a dirlo, nell'Addio alla vita dalla Tosca. Ho sentito dal vivo degli Alvari ben peggiori del suo, e non è difficile con questo ruolo, ma l'inespressività m'infastidiva, e sottolineo il pronome personale. Le strofe di Manrico dall'interno non avevano nè dolcezza nè bellezza... E tutto questo non si compensa con baci, abbracci tra i tre cantanti e anche il direttore mostrando i pollici, compresa anche una signora vestita in modo piuttosto suggestivo – non so quale eufemismo adoperare – che si è fatta sollevare sul palcoscenico alla fine per abbracciare due o tre volte il suo idolo ma anche i tre signori, tutti un po'imbarazzati. Il maestro Denis Vlasenko che – cosa nuova, per fortuna sempre s'impara – dirigeva la sinfonia dal Nabucco fra Otello e Don Carlo, il preludio del Macbeth tra l'aria dell'atto quarto e il duetto del terzo, e l'intermezzo dalla Cavalleria tra l'addio alla mamma e il duetto di Lehár è un uomo giovane che non si è particolarmente distinto. L'orchestra suonava forte quasi sempre, ma quando si trattava dell'intermezzo eravamo in momento languido; i fiati e gli ottoni suonavano molto bene, gli archi non sempre – introduzione dell'aria del Macbeth, momento centrale di Tu che le vanità. Dimenticavo: il parossismo si è toccato con l'unico bis: O sole mio a tre, interpretato e cantato in modo tale da far sembrare i concerti dei tre tenori musiche di Bach e Mozart interpretate da specialisti. Successo vivissimo. Magari la prossima volta avremo anche un basso.
Jorge Binaghi
11/11/2019
La foto del servizio è di Antonio Bofill.
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