RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


Anna Bolena

al Teatro Regio di Parma

Il primo titolo serio di Gaetano Donizetti a trionfare fu Anna Bolena nel 1830 al Teatro Carcano di Milano. L'opera mancava dal Teatro Regio di Parma da ben quarant'anni e prima si contano due sole edizioni nell'Ottocento. Tale lacuna è colmata, in parte, con l'inaugurazione della stagione 2017 nella nuova produzione ideata da Alfonso Antoniozzi.

Anna Bolena appartiene al cosiddetto filone inglese della produzione del bergamasco, la trilogia Tudor, e fu composta in un mese quando il musicista era ospite di Giuditta Pasta nella sua villa sul Lago di Como. Il libretto di Felice Romani narra la triste vicenda della seconda moglie di Enrico VIII, e madre della futura Elisabetta I, che fu mandata al patibolo dal marito per convolare a nuove nozze con Jane Seymour. Pur basandosi su un fatto realmente accaduto, lo stesso librettista scrive sul frontespizio che non è appurato che Anna Bolena, accusata di tradimento coniugale, fosse realmente colpevole, ma per esigenze drammaturgiche teatrali si vuole considerare la tesi dell'innocenza creando una situazione certamente d'effetto nel grandioso finale. Oggi, documentazioni alla mano, l'incertezza di tale reato è ancora palese, è accertato invece che tutta la famiglia Boleyn fu accusata di cospirare contro la corona e anche questo fu un motivo per cui la regina fu decapitata nel giardino della Torre di Londra. Strutturando l'opera su un dramma così concepito Donizetti e Romani trovano un terreno facile per caratterizzare soprattutto le due primedonne che hanno ruoli bellissimi e memorabili, compreso il duetto del secondo atto, senza dimenticare la grande presenza di Enrico, violento e crudo marito, e del giovane innamorato Percy che segue il destino del suo giovanile amore. Una struttura classica e lo stile ci riportano a un romanticismo musicale con frange di passato, anche se il belcanto, con la grande scena della pazzia, è di un'imponente e indimenticabile teatralità con furie di dramma storico, cui si aggiunge la presenza di un paggio che avrà ruolo non di contorno nella vicenda.

Il nuovo allestimento di Parma, coprodotto con il Teatro Carlo Felice di Genova, è uno spettacolo in linea con le casse non certo floride dei teatri italiani, realizzato non dico “al risparmio” ma certamente con risorse limitate. Ciò non toglie che il regista Antoniozzi abbia delle buone idee e cerchi di ideare una drammaturgia plausibile, anche se nel complesso non è una delle sue migliori realizzazioni e non passerà alla cronaca come spettacolo indimenticabile.

Ci sono dei punti che mi trovano in netto disaccordo con la sua concezione. Il primo è quello di ambientare l'opera negli anni '40 del secolo scorso perché come lui scrive è un momento storico di grandi cambiamenti. Mi pare superfluo dire che nei quasi cinque secoli addietro periodi di cambiamento ce ne sono stati molti altri e spostare le vicende in epoca “moderna” non ha giovato al dramma. Il quale dramma è pur sempre storico anche se come predetto c'è un forte distacco dai fatti reali. Anzi, se vogliamo essere precisi il grande fatto di cambiamento alla corte inglese non fu certo la decapitazione di Anna Bolena, piuttosto il divorzio dalla prima moglie di Enrico VIII, Caterina d'Aragona. La conseguenza di questa impostazione ha avuto la conseguenza che i costumi non lasciano segno particolare: la goffa pelliccia del re, il paggio Smeton abbigliato da donna equivoca, il coro maschile in frac, la Seymour che pareva una cameriera del serial “Downton Abbey” e la non sontuosità regale della protagonista, spiazzavano non poco. Peccato perché l'autore, Gianluca Falaschi, è creatore ben superiore di quanto visto a Parma e artista di rango affermato.

La scena, di Monica Manganelli è pressoché fissa, un praticabile sul quale si svolge l'intricata vicenda ai cui lati sottostanti è posto un coro sempre immobile e statico, forse spettatore inerme delle dispute reali. La gabbia carcere della scena finale stride con il rango della regina che mai e in nessun caso sarebbe stata messa in una cella in qualsiasi epoca. Bellissimi i video proiettati sul fondo, che sono stati di grande impatto.

Convince invece un aspetto della drammaturgia e precisamente lo scontro tra le due donne, seconda e terza consorte Tudor, qui Antoniozzi azzecca un aspetto sia storico sia drammaturgico di grande spessore mettendo a confronto due “regine” in una spietata guerra di amore e potere nel quale tuttavia prevale anche la rassegnazione dell'una capendo la sua sconfitta. Altro elemento incisivo la freddezza e crudeltà di Enrico disegnato quasi immobile e senza sentimenti, i suoi voleri sono ordini e questo basti. D'effetto il trono fragile di Anna, costituito da mini, che all'occasione accolgono la regina ormai conscia della sua instabilità, come efficace la maschera che usa prima Bolena e poi Giovanna nuova consorte, la quale appare dopo la decapitazione in pieno titolo regale, meno pertinente il coro che assiste alla follia e all'esecuzione della protagonista con un flûte di spumante in mano. Molti aspetti di questa regia erano appropriati e convincenti, molti altri, a gusto di chi scrive, sicuramente no, tuttavia dobbiamo riconoscere ad Alfonso Antoniozzi la chiarezza di quello che ha voluto esprimere, tolto le superflue mine che girovagano in alcune scene.

La parte musicale vedeva Fabrizio Maria Carminati sul podio dell'Orchestra Regionale dell'Emilia Romagna, il quale ha il pregio di operare pochissimi tagli e reggere la lunga opera con onesta professionalità. Avrei preferito una scansione più vigorosa di alcune scene, in particolare terzetto e finale atto primo, e in generale mi parso che la sua direzione non abbia trovato una lettura incisiva e una drammaturgia precisa adagiandosi su un accompagnamento talvolta lento e slegato che personalmente non riconosco in Carminati. L'orchestra era di buon livello e piuttosto precisa, molto preparato il Coro del Teatro Regio di Parma che si ritaglia una performance di grande stile, sempre diretto da Martino Faggiani.

Mettere insieme il cast per un'opera come Anna Bolena è compito assai arduo, e senza rievocare un recente passato piuttosto pensando alla peculiarità vocale dei cantanti per cui fu scritta l'opera.

Parma ha tentato di raggruppare un cast che sulla carta doveva essere vincente, poi il diavolo, come suol dirsi, ci ha messo la coda. Escono vittoriose le due antagoniste Anna e Giovanna. Yolanda Auyanet, Anna Bolena, credo al debutto nel ruolo, affronta la difficile parte con grande impeto e una ricchezza di colori vocali davvero impressionanti, coinvolgendo il pubblico più sull'aspetto drammatico che sul virtuoso, realizzando un fraseggio di gran classe e una recitazione vocale di forte teatralità. Dotata di voce molto bella, risolve la parte virtuosistica con perizia e stile senza però svettare ma esegue il tutto con grande musicalità, peccato che il registro acuto non sia così lucente come la zona centrale, ma siamo di fronte ad una prova sicuramente positiva.

Sonia Ganassi, Seymour, era in ottima forma e propone una Giovanna di gran classe, cantata con spavalda sicurezza e introspettiva recitazione, puntuale in tutti gli ardui momenti dello spartito e valida belcantista di cui serbiamo memoria.

Marco Spotti, Enrico VIII, è un basso con voce molto importante e buoni mezzi ma in questo ruolo non trova gli esiti di altre occasioni. Il fraseggio e l'accento erano monotoni e non riusciva a imporsi come il re del quale ogni desiderio è ordine. Forse non aiutata dalla regia, la sua interpretazione era distaccata e poco incisiva.

Percy doveva essere Maxim Mironov, di cui ricordiamo una pregevole performance a Bergamo, purtroppo un'improvvisa indisposizione l'ha messo fuori gioco e all'ultimo è arrivato a Parma, proprio il giorno della prima, Giulio Pelligra. Considerati gli eventi, non sarebbe corretto esprimere un giudizio sulla prestazione, tuttavia è lecito rilevare che a mio avviso la parte è troppo onerosa, in particolare nel settore acuto, per una voce tutto sommato piccola ma molto educata e musicale, pur se bisogna lodare la disponibilità del cantante a salvare la recita.

Molto brava Martina Belli, Smeton, mezzosoprano scuro di ottima voce, precisa tecnica e buona caratterizzazione del personaggio. Completavano la locandina i professionali Alessandro Viola, Harvey e Paolo Battaglia, Rochefort.

Finale un po' turbolento con applausi calorosi a tutto il cast, molto convinti per Auyanet e Ganassi, qualche disappunto al direttore e una più pesante contestazione all'uscita del regista, della scenografa e della costumista.

Lukas Franceschini

19/1/2017

Le foto del servizio sono di Roberto Ricci – Teatro Regio di Parma.