La Scala fra due chiusure
Concerto Netrebko-Chailly
Il Teatro era tornato con forza a settembre tra concerti sinfonici, galà di balletto, e opere in forma di concerto (Traviata e Aida), e stava provando già la versione storica di Zeffirelli de La Bohème per i primi di novembre. Io dovevo vedere l'ultima dell'Aida con Jonas Kaufmann al posto di Francesco Meli (risultato positivo), ma finalmente un'altro malato fece mettere in quarantena tutta la compagnia e c'è stato un concerto – che non sono stato in grado di presenziare – con alcuni dei cantanti de La Bohème (ora cancellata), Anita Hartig, Aida Garifulina e Mattia Olivieri più detto Kaufmann diretti da Fabio Luisi.
Così sono rimasti due concerti dei due maggiori divi della lirica, e si può essere o no d'accordo ma la maggioranza fa legge, dicono, uno all'ultimo momento. E questo è stato il primo, l'ultimo senza coprifuoco, coincidente con la preparazione di un nuovo cd della Netrebko con l'orchestra della Scala diretta da Chailly: la seconda parte era prevista per un futuro prossimo adesso incerto (arie tedesche). Questa vedeva gli artisti impegnati in un repertorio italiano senza sorprese ma molto coerente e difficile.
Orchestra in forma smagliante e maestro memorabile, ma un po' meno a suo agio nel balletto de La Gioconda, facevano ascoltare gli intermezzi dell'Adriana Lecouvreur e di Manon Lescaut. Per iniziare la serata c'era una primissima, di quelle che piacciono al Maestro: la sinfonia per l'Aida che Verdi scrisse per la prima alla Scala ma che poi decise di non far eseguire. Naturalmente un ascolto interessantissimo, soprattutto per verificare ancora una volta l'atteggiamento critico di Verdi verso la propria musica: se la sinfonia fosse stata eseguita (e sicuramente rimasta) avremmo qualcosa di un po' lungo e non all'altezza delle due ultime grandi sinfonie (e alcune anteriori) composte dall'autore in particolare dopo la prima sezione, l'attuale meraviglioso preludio.
Il soprano si presentava per la prima volta dopo la parentesi dovuta anch'essa all'ormai nota malattia che la diva ha documentato abbondamente, com'è solita fare, attraverso i mezzi sociali, ch'io cerco di non seguire ma… I suoi favolosi mezzi erano intatti ma, come sempre, quanto più canta un personaggio meglio lo fa mentre i nuovi o solo cantati in forma di qualche aria in concerto o disco possono certamente migliorare.
Per quanto mi riguarda la preferisco nell'ultimo Verdi, come dimostrava nel primo assolo di Aida (superiore a quello del Met) e nella regina del Don Carlo con la grande aria dell'ultimo atto, meglio che a Barcellon). La sua Adriana Lecouvreur (“Poveri fiori”) risultava più interessante che quella ineccepibile vocalmente a Vienna. E probabilmente il momento più perfetto della serata è stato “Sola perduta abbandonata” dalla Manon Lescaut, personalmente mai sentita dal vivo, e per fortuna nella forma definitiva che Puccini volle darle.
Invece sia il “Suicidio” da La Gioconda sia, e ancora di più, il “Bel dì” dalla Butterfly richiedono ancora rifiniture, soprattutto il secondo (ha detto sempre che non le piaceva la parte, ma così ha detto anche della Tosca) con dei gravi fuori posto ed esagerati, che nel brano di Ponchielli sembravano artificiale e poco timbrati.
È vero che la Musetta de La Bohème, unico bis e che ignoro se pensa cantare, le sta oggi a pennello (non più la Mimì) e ne ha fatto una creazione sensazionale, quasi quanto l'ammirazione che destava il secondo vestito dopo la pausa – ovviamente io ho preferito il primo, se queste cose sono importanti per una critica, che, penso, non sia esattamente lo stesso che una cronaca mondana.
Tutto esaurito (certo, solo i posti in vendita) ed ovazioni a non finire.
Jorge Binaghi
1/11/2020
La foto del servizio è di Brescia & Amisano.
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