Al Lingotto con Brahms
Concerto d'apertura della stagione 2014/2015 del Lingotto di Torino
E tre. Per curiosa coincidenza, a Torino, quest'anno, tutte e le tre maggiori rassegne di musica sono state aperte da un programma dedicato al repertorio sacro. Il 25 settembre è toccato all'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai (OSN) con la Missa Solemnis di Beethoven; poi al Teatro Regio, con la Messa da Requiem di Verdi il 30 settembre (in sostituzione, pare, ad una prevista ripresa della Forza del destino); dulcis in fundo, è stata la volta dei Concerti del Lingotto, che lunedì 6 ottobre 2014 alle ore 20:30, presso l'auditorium Giovanni Agnelli, hanno ospitato la WDR Sinfonieorchester Köln, il WDR Rundfunkchor e l'NDR Chor per l'esecuzione di Ein deutsches Requiem Op. 45 di Johannes Brahms, sotto la direzione di Jukka-Pekka Saraste. Più che di repertorio sacro, quindi, è più corretto parlare di repertorio “spirituale”, introspettivo. Accantonata la funzionalità dell'impiego liturgico, questi tre capolavori, la Missa di Beethoven, il Requiem di Verdi e il Deutsches Requiem di Brahms, rappresentano ognuno un modo diverso di esplorare la propria sensibilità religiosa, il proprio rapporto col sacro, potremmo dire.
Al di là della preferenza personale, l'esecuzione che ha avuto luogo all'auditorium del Lingotto è stata quella più convincente, e passi l'omissione dell'organo nella conta degli strumenti (peraltro previsto da Brahms ad libitum).
L'orchestra, sempre validamente sostenuta, ha trovato la sua sezione più felice negli archi; sporadiche sporcature qua e là dei legni, specialmente in qualche attacco, e degli ottoni, non hanno certamente inficiato la qualità dell'esecuzione.
Dall'apertura si ha sentore che Saraste voglia condurre la serata all'insegna di un Brahms esente da protagonismi, da esteriorità gratuite, con quel morbido attacco di fa maggiore dei violoncelli divisi. È un inizio raccolto, pieno di dolcezza sulle parole: «Beati quelli che soffrono, perché saranno consolati», dall'andamento cullante, senza perdere una certa severità, mai accigliata. Ottimi i cori, ben amalgamati e uniti soprattutto nei pianissimi.
Quel sentore iniziale ha ceduto il passo, nell'inoltrarsi dell'esecuzione, ad una meno gradita (ma non per questo meno riuscita) dilatazione della tensione drammatica, a partire già dal secondo brano, Denn alles Fleisch es ist wie Gras, in cui il coro, dopo aver esordito nella sua sezione maschile con un piglio quasi russo (ci ha ricordato i cori dell'Armata Rossa), si erge imponente dopo un crescendo che sa di faticosa ascesa verso la luce, sorretto da timpani che si percepiscono molto tesi e squillanti. Timpani che, se in certi passaggi sono valsi a sottolineare le nerborute architetture brahmsiane, in altri sono risultati fin troppo insistiti, come nel finale del terzo brano, che ha portato il coro a dover “strafare” per potersi imporre sull'orchestra. Quella che dovrebbe essere una conclusione festosa, al termine di un testo che punta tutto sulla nullità della vita dell'uomo, e che d'improvviso rialza le sorti delle «anime dei giusti», si traduce in un giubilo faticoso. Si segnala, sempre nel terzo brano, l'intervento del baritono Andrè Schuen, tanto accorato quanto severo il coro. Timbro chiaro, verso il tenorile, di volume non eccessivo ma dotato di buona espressività, unita ad una dizione chiara, in grado di far comprendere i suoni della lingua tedesca anche ad un non germanofono. Meglio ancora, a voce più calda, il suo intervento nel sesto pannello del Requiem, dove la sua voce ha acquisito corposità, mantenuta anche nei gorgheggi richiesti dalla partitura. Il coro e l'orchestra, nella conclusione, danno il massimo, giungendo ad una chiusa trionfalistica e pomposa (benché i timpani troppo pesanti abbiano disturbato la resa complessiva), talmente trionfalistica, da indurre alcuni elementi del pubblico ad accennare un timido applauso. Ma vi sarebbe stato da dar loro credito, in assenza di libretto, poiché il piglio direzionale ha puntato direttamente a far capire di essere giunti alla fine.
Del quarto movimento abbiamo apprezzato soprattutto l'entrata fugata delle voci del coro, che ha reso la polifonia brahmsiana ariosa ed evidente, ben evidenziata per la parte maschile, un po' meno per quella femminile. La parte femminile del coro, sia detto tra parentesi, ha risentito talvolta, qua e là, di una certa tendenza al gridato, ricomponendosi dove la tessitura non richiedeva sforzi eccessivi.
Dalla dizione non sempre nitida, ma dotata di voce corposa e squillante (cosa che la metteva in difficoltà nei filati), il soprano Hanna-Elisabeth Müller, chiamata ad interpretare il quinto brano, Ihr habt Traurigkeit (Ora siete nella tristezza), si è prodotta in una performance armoniosa, partecipe del testo, parole tristi su musica serena e rassegnata, come di chi ha accettato un evento nefasto ma riesce a confidare in Dio (è questo, in effetti, il brano scritto da Brahms per la morte della madre, non per nulla incastonato al centro della composizione quasi a volerlo racchiudere come il più prezioso). A tratti l'emissione scendeva un po' in gola, ma nel complesso, a parte qualche esitazione iniziale, le aspettative sono state ampiamente soddisfatte.
La conclusione, al settimo movimento, riprende il clima raccolto dell'inizio, facendo intravedere una sorta di ciclicità della composizione. Torna in primo piano la qualità migliore di questi due cori, l'unità, l'omogeneità dell'emissione, che congeda il pubblico, assieme ad un testo pacificatore, come una buonanotte delicata e sommessa.
L'insipiente avvio di un applauso a stretto contatto con la fine dell'ultima nota, però, ha compromesso il godimento di quel momento di silenzio che segue alla fine di ogni esecuzione magistrale, partito dal fondo della sala da parte probabilmente di una scolaresca, data l'età e il numero di giovani. A questo proposito sarebbe bene ricordare agli insegnanti che, nella lodevole intenzione di avvicinare i ragazzi alla musica classica, la scelta del brano è fondamentale, e iniziare con il Deutsches Requiem di Brahms, composizione in ogni caso severa, meditativa, non è certo la più felice delle idee. Quell'applauso ha comunicato il vivo desiderio di mettere fine alla serata il più in fretta possibile, tanto che uno sguardo di disappunto tra Saraste e il primo violino è risultata ancora, a nostro parere, una reazione educata, benché carica di eloquenza.
Christian Speranza
15/10/2014
Le foto del servizio sono di Pasquale Juzzolino.
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