Aquagranda
Una novità assoluta alla Fenice di Venezia
Il Teatro La Fenice inaugura la Stagione Lirica e Balletto 2016-2017 con una nuova opera commissionata per il 50° anniversario dell'alluvione del 4 novembre 1966: Aquagranda su libretto di Roberto Bianchin e Luigi Cerantola (tratto da libro Acqua Granda. Il romanzo dell'alluvione di R. Bianchin) con musica di Filippo Perocco.
Operazione certamente encomiabile e coraggiosa, legata significativamente alla città per un fatto tragico quanto devastante. Un lavoro di cultura che è radicato in Venezia, e a livello storico dieci lustri sono relativamente pochi, infatti l'avvenimento è tuttora molto vivo negli abitanti lagunari. Il Sovrintendente e il Direttore artistico hanno voluto che gli autori dello spettacolo fossero tutti veneziani, non per campanilismo ma perché legati alla città e certi che avrebbero potuto restituire una rievocazione più realistica rispetto ad altre scelte. Una volta deciso di ispirarsi per il libretto al libro di Bianchin, si è affidata la stesura allo stesso autore e a Luigi Cerantola. Anche Filippo Perocco è veneziano di nascita e formazione, anche se ora la sua carriera di compositore è a livello internazionale nei circuiti della musica contemporanea. Terzo elemento artistico il regista Damiano Micheletto sempre nativo della città veneta che anche in quest'occasione collabora con i suoi abituali artisti Paolo Fantin, scenografo, e Carla Teti, costumi.
L'opera è ambientata nell'isola di Pellestrina, che fu invasa per prima dall'ondata dell'acqua. Pochi i personaggi, capeggiati dal pescatore Fortunato che è il solo a rendersi conto di quanto di lì a poco succederà. La musica di Perocco è anti-teatrale e anti-retorica come un flusso di suono che si abbina all'onda acquatica che rompe le mura (“murazzi” in veneziano) e invade tutto. Di grande rilevanza, o forse protagonista assoluto, è il coro, cioè “la voce della laguna” che esegue dei canti lagunari in forma tonale, ma di grande effetto è l'enfasi che suscita drammaturgicamente. Bisogna rilevare che il canto dei solisti, in dialetto locale, non è punto di riferimento per il compositore, piuttosto siamo di fronte ad una musica che utilizza il canto come sensazione d'effetto incentrata su sonorità che s'intersecano con uno storpiamento del suono creando un flusso di linguaggio musicale personale quasi astratto. Anche il canto, che potrebbe ispirarsi al madrigale, è trattato in maniera parallela alla musica, distaccato e declamatorio. Un aspetto che ha destato perplessità è stato quello della continua ripetizione della frase o della parola, ma probabilmente al compositore non interessava rendere evidente questa peculiarità, tanto da suscitare nello spettatore l'idea che il suo lavoro potrebbe essere un “oratorio” in chiave moderna. L'orchestra accompagna la tragedia con un linguaggio antimelodico, ma di grande effetto: basta ascoltare le prime battute forti e sorde, come in una tragedia di antica memoria. Non siamo di fronte al capolavoro moderno, ma sicuramente a un dramma per musica (suddiviso in dodici scene) della durata complessiva di ottanta minuti che s'identifica sui sentimenti, sulle paure di fronte ad un evento indomabile. È la forza tragica e drammaturgica che colpisce, non certo la parola e le azioni umane. L'effetto sonoro in continua fibrillazione arriva al momento in cui la marea si ferma, causa il cambio del vento, e la maestria del contrappunto sta nel trovare un finale che in me ha evocato elementi dalla Pastorale di Beethoven, il finale sviluppa il poter respirare per una tragedia che avrebbe potuto essere più grande.
In questa concezione è funzionale lo spettacolo ove prevale la grande scena di Paolo Fantin sulla regia di Damiano Michieletto. Il coro è collocato in due tribune ai lati dei primi palchi di proscenio, al centro una grande vasca a parete che sin dall'inizio inizia a riempirsi di acqua vera e inondare poi il palcoscenico, un momento teatrale di grande impatto, e anche se era prevedibile perché si poteva immaginare, la visione toglie il fiato. Io che sono nato in terra ferma e non conosco queste situazioni mi sono immedesimato per un attimo nell'impotenza degli uomini di allora e ho provato un senso di sgomento. Credo che anche il regista non abbia voluto imprimere una lettura troppo personale ma lasciare all'elemento acqua il realizzare quello che gesta o parole non possono realizzare. L'effetto c'è stato. Lo spettacolo era supportato dai pertinenti costumi di Carla Teti, artista che si conferma sempre all'altezza del compito, e a video originali d'epoca, magistralmente ideati da Carmen Zimmermann e Roland Howart, che impressionavano alla sola visione, non immagino come sia stata la realtà.
Di notevole qualità la direzione di Marco Angius, un esperto encomiabile in questo repertorio, perfetto calibratore di sonorità e abile interprete nel parallelismo tra buca e orchestra. Non si poteva avere maestro migliore.
Ottima anche la compagnia di canto, che solitamente è impegnata in repertori classici, ma qui si è ben adattata a una nuova scrittura vocale, peraltro molto difficile.
Primeggia Andrea Mastroni, Fortunato il pescatore, che s'impone per una resa scenica di grande impatto accomunata a una voce importante, morbida e ben amministrata nel fraseggio. Non meno brava la Lilli di Giulia Bolcato, alla quale è riservata una bellissima aria molto virtuosa e impegnativa che lei risolve con grande disinvoltura e precisa esecuzione acuta. Mirko Guadagnini, Ernesto, è impegnato con partecipazione, anche se la scrittura è talvolta ardua per la sua vocalità. Silvia Regazzo è una brava Leda, Vincenzo Nizzardo, Nane, sfoggia accenti meritevoli di nota e ottima identificazione nel personaggio. Marcello Nardis era un eccellente Cester, ricco di sfumature e intenti drammatici, mentre William Corrò, Luciano, confermava la brillante professionalità di sempre.
Un elogio particolare va riservato al Coro del Teatro La Fenice, diretto da Claudio Marino Moretti, che si è esibito in una parte di ardua difficoltà dimostrando non solo professionalità ma una peculiare duttilità di repertorio. Bravissimo!
Anche all'ultima replica, a teatro tutto esaurito, il successo è stato trionfale.
Lukas Franceschini
17/11/2016
Le foto del servizio di Michele Crosera – Teatro la Fenice.
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