Un'Arabella decadente
trionfa alla Semperoper di Dresda
Il testo di Arabella risponde perfettamente alle esigenze di levità e scorrevolezza che Richard Strauss desiderava per la sua nuova commedia in musica, salvo poi celare profondità inattese e mascheramenti sottili, cifre peculiari dell'arte di Hugo von Hofmannsthal. La crisi del linguaggio, quell'impossibilità ad aprir bocca senza suscitare confusione ed equivoci, per rubare le battute al protagonista de L'uomo difficile, si nasconde dietro le convenzioni della finzione scenica ereditate dalla tradizione, in un gioco di specchi e di rimandi pregno di significati. L'apparente grazia mozartiana è un paravento, la storicità della commedia è solo un pretesto per indagare gli opposti orizzonti della razionalità e dell'inconscio. Non a caso l'azione si conclude con Mandrika che domanda alla futura sposa: «Du wirst bleiben wie du bist? (resterai qual sei?)». Al che Arabella risponde: «Ich kann nicht anders werden, nimm mich wie ich bin (non posso mutare, prendimi come sono)». Forse un velato accenno alla primigenia incostanza della donna, la quale infatti sfugge l'abbraccio dell'amante per sparire sulla scala che porta al piano di sopra. In quest'ottica l'happy ending della commedia condivide il sentore di una malinconia tutta straussiana. Non dobbiamo dimenticare che il compositore si accinge all'opera quando il suo fedele librettista è ormai scomparso. Il vecchio Strauss dimostra una vera predilezione per le verità mascherate e per le metamorfosi che si riflette anche nella scrittura musicale, fatta di continue alchimie timbriche, di temi smaterializzati e inafferrabili nel loro subitaneo balenare. L'esecuzione ascoltata alla Semperoper di Dresda, una coproduzione con il Festival di Salisburgo, è di quelle che lasciano il segno. La partitura trova in Christian Thielemann un interprete ideale, in grado di svelare con estrema naturalezza i riflessi cangianti di una tavolozza timbrica inesauribile, esaltando nel contempo la fluidità del tessuto sonoro. Troppo numerosi i momenti topici per elencarli tutti. Basti pensare all'aura elegiaca che avvolge il finale primo e l'intenso duetto fra Mandryka e Arabella. La scena del ballo nel secondo atto è resa poi con una dovizia di accenti sorprendente, tratteggiata con dettagli dal sottile sapore psicoanalitico. Una lettura che si tiene distante da qualsiasi gigantismo sonoro, fornendo formidabile supporto agli interpreti. Un paio di note un poco fisse sono l'unica conseguenza udibile dell'indisposizione che ha colpito Anja Harteros durante la prova generale, annunciata in via precauzionale prima dell'inizio dello spettacolo. Per il resto la sua è un'Arabella magnifica, pregna di malia sin dal suo primo ingresso in scena, tutto giocato sulla finezza del fraseggio. Thomas Hampson è un partner ideale, nonché un cantante di gran classe. Con fine intelligenza interpretativa delinea un Mandryka non troppo muscolare ma molto rifinito. Alcune opacità in zona acuta non guastano una prova nel complesso pregevole.
Eccellente Hanna-Elisabeth Müller, in grado di rendere con efficacia la crisi identitaria di Zdenka, costretta a fingersi uomo per il bene della sorella maggiore. Il ruolo dell'amante disperato è particolarmente congeniale alle doti di Daniel Behle (Matteo), tenore dalla vocalità squillante e sicura. Di gran lusso la coppia degli aristocratici decaduti. Albert Dohmen è un Waldner dalla linea vocale solidissima, composto e misurato nell'espressione. Gabriele Schnaut ( la contessa Adelaide ) ha una voce non più freschissima, ma è comunque un'ottima caratterista. Daniela Fally incarna una Fiakermilli brillante dal punto di vista interpretativo, un po' meno da quello vocale, mentre Jane Henschel ricopre con efficacia il ruolo della cartomante. Apprezzabile infine il trio dei pretendenti, impersonati da Benjamin Bruns, Derek Welton e Steven Humes.
Lo spettacolo pensato da Florentine Klepper svela il mistero che si cela dietro il gioco apparentemente futile della commedia. Atmosfere decadenti caratterizzano l'albergo nel quale si svolge il primo atto, con le stanze che scorrono da un lato all'altro del palcoscenico ad inquadrare di volta in volta i singoli episodi. Ossessioni psicoanalitiche dominano la scena del ballo; un centauro adombra inquietudini che paiono scaturire dal pennello di Franz von Stuck, una carrozza ribaltata simboleggia il sovvertimento dell'ordine borghese, il fantoccio di una donna nuda ci conduce direttamente in territori freudiani. Una danza macabra che si agita pericolosamente sul precipizio dei drammi individuali e collettivi, non a caso trasposta temporalmente dalla Vienna ottocentesca a quella del primo novecento, già presaga del proprio declino. Alla fine il pubblico resta tutto in sala ad applaudire. Qui le fughe immediate dopo che l'ultima nota è evaporata nell'aria, segno di maleducazione purtroppo molto diffuso dalle nostre parti, sono semplicemente inconcepibili, specialmente di fronte ad una esecuzione di tale livello.
Riccardo Cenci
13/11/2014
Le foto del servizio sono di Matthias Creutziger.
|