L'Arena di Verona inaugura con
Un ballo in maschera
Inaugurazione del 92° Festival all'Arena di Verona con la nuova produzione dell'opera Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi che mancava dall'anfiteatro veronese dal 1998. Il nuovo spettacolo porta la firma autorevole di Pier Luigi Pizzi, il quale come consuetudine è artefice di scene e costumi. Pizzi in Arena ha lasciato ricordi indelebili, in particolare Macbeth e Aida. Peculiarità del regista è sempre stata un'indiscussa eleganza estetica e visiva, riconfermata anche in quest'occasione. La Boston di Pizzi è tutta bianca, quasi monocromatica, costituita da tre impianti circolari con colonnato tipico delle abitaizioni ancor oggi visibile nella città. Le tre costruzioni, che sono girevoli, danno modo al regista di cambiare scena rapidamente e produrre i vari segmenti degli atti. L'espressione dello scenografo è di grande fattura, sempre stilizzato con l'aggiunta di bellissimi costumi, che contrastano, per i vivaci colori rosso, oro e argento, con la scena. Quello che in parte manca in questa produzione è una regia vera e propria, i protagonisti sono lasciati un po' allo sbaraglio e spesso immobili. Talune soluzioni anche discutibili come ad esempio la scena dell'antro di Ulrica ove regnavano confusione ed astrattezza, senza contare che nel terzetto Riccardo si dispone sul limite del palcoscenico. Pizzi sceglie tuttavia una linea ben precisa nel raccontare il dramma verdiano: pone l'accento sul rapporto amoroso impossibile tra di due protagonisti, lasciando ai margini la congiura politica. Infatti, la scena dell'urna non presentava particolare tensione drammaturgica. Brillante la grande scena del ballo, con gli ottimi ballerini del Corpo di Ballo dell'Arena su preziose coreografie di Renato Zanella, ma anche qui è mancato il coup de théâtre che sarebbe dovuto essere realizzato con luci più appropriate.
Delude in più parti la direzione di Andrea Battistoni, il quale non riesce a cavare dall'orchestra dell'Arena corposità di suono ma si è adagiato nella comoda ruotine di accompagnatore, ora anche corretto, ma spesso confusionario e sfasato soprattutto negli assiemi. Battistoni non trova una sua linea propria e spreca occasioni e anche del talento in inutili sbracciate poco concludenti.
Francesco Meli interpreta per l'ennesima volta il ruolo di Riccardo, che resta il suo miglior personaggio verdiano. Colpisce in particolare nel primo atto l'accento e il fraseggio di un canto forbito ed elegante. Leggermente più a disagio nel grande duetto, probabilmente dovuto allo spazio aperto, qui si nota un canto più aperto ma sempre suggestivo. Nel complesso una prova positiva che a mio modesto parere sarà più valorizzata in future recite e magari nel teatro al chiuso. Hui He sfodera la sua sontuosa voce passionale e lirica, seppur leggermente ridimensionata rispetto a prove del passato. Gioca al risparmio nel terzetto del primo atto, in molte lo fecero e lo fanno, ma al momento delle sue arie sfoderata timbro seducente e linea di canto appropriata, scandita da un fraseggio comunicativo e sofferente.
Meno significativa la prova di Luca Salsi, un Renato risentito e truce, ma che tende a gonfiare la voce con effetti poco seducenti. Eppure la voce è bella ed importante e pare strano un utilizzo così arbitrario, poiché possiede anche una zona acuta rilevante. Note ancor più nefaste per l'Ulrica di Elisabetta Fiorillo, forzata e greve con voce ridotta in due sezioni, ove reggono solo le note gravi di petto ma con troppo accento. Meglio Serena Gamberoni nei panni del paggio Oscar, non troppo brillante nella prima aria, forse emozionata, ma si riscatta al terzo atto con un'esecuzione brillante e precisa. Tra gli altri personaggi non lasciavano traccia particolare i due congiurati, Deyan Vatchkov e Seung Pil Choi, come il giudice di Antonio Feltracco, bravo il Silvano di William Corrò.
Lukas Franceschini
27/6/2014
Le foto del servizio sono di Ennevi.
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