Carmen
all'Arena di Verona
Il secondo titolo del 92° Festival dell'Arena di Verona è il celebre dramma musicale Carmen di Georges Bizet, spettacolo di Franco Zeffirelli del 1995. Ad essere precisi quello che vediamo oggi è un rifacimento del 2009 rispetto all'originale, poiché le nuove disposizioni della sovrintendenza ai monumenti hanno imposto un rilevante ridimensionamento delle strutture sceniche in Arena, non è più possibile collocare scenografie sulle gradinate, pertanto non c'è più la Siviglia mozzafiato della prima versione, sostituita con dei pannelli che soffocano lo spettacolo interamente concentrato nel centro del vasto palcoscenico. Da un allestimento maestoso e sfarzoso, fin troppo con inserimento di animali e numerose comparse, siamo passati ad uno spettacolo essenziale che perde in maniera determinante dell'incisività visiva e poiché la mano di Zeffirelli è più prolifica nella scena che nella regia il risultato è molto diverso. Il regista fiorentino, causa qualche malanno e l'età, non è venuto a Verona per riallestire la “sua” Carmen, in locandina non compare il nome di nessun assistente, pertanto si può ipotizzare con riserva che le prove di questa Carmen siano state realizzate da personale interno alla Fondazione. Tuttavia questa produzione denota tutti i sui vent'anni, con limiti nella sommaria realizzazione drammaturgica, una generale ruotine soporifera che trovano spunto solo orami nei bellissimi costumi di Anna Anni e nelle coreografie di El Camborio (riprese ora dalla moglie Lucia Real) per la prima volta realizzate dal corpo di ballo dell'Arena di Verona, che sostituiscono con professionalità il balletto spagnolo senza possedere “l'anima gitana”. Sarebbe auspicabile un nuovo allestimento qualora l'opera fosse riproposta negli anni futuri, anche in funzione ai tre intervalli previsti, troppe le quattro ore e dieci minuti per l'esecuzione dell'opera.
Debuttava sul podio dell'Arena di Verona il direttore ungherese Henrik Nánási, che avevamo conosciuto in un riuscito concerto sinfonico qualche anno addietro. Il maestro magiaro ha fornito un'ottima prova di concertazione, soprattutto per il misurato rapporto tra colore e fraseggio orchestrale, capace di sviluppare una lettura variegata negli aspetti romantici, drammatici e pennellando con coerenza il folklore sivigliano. Mai banale, sicuro in tempi brillanti trova pieno appoggio nell'orchestra che lo segue con attenzione e s'impegna anche nelle spigolature più minimali.
Note decisamente inferiori per quanto riguarda il cast, nel quale la sola Irina Lungu s'impone in una prova positiva. La cantante è precisa ben impostata e coglie appieno nel colore e nell'intensità interpretativa il personaggio di Micaela, giovane coraggiosa innamorata, in abbinamento ad una morbida voce variegata. Ekaterina Semenchuk era una protagonista scialba, per nulla sensuale, e con fraseggio approssimativo. Carlo Ventre imposta il suo Don José sulla scia dei tenori virili, molto in voga in decenni remoti, senza possedere mezzi idonei per tale interpretazione. Il canto era sempre forzato e il personaggio realizzato senza particolare convinzione. Ritornava in Arena il baritono spagnolo Carlos Alvarez nel ruolo di Escamillo, che ha reso con correttezza ma senza la verve necessaria il torero antagonista di José, oltre ad un volume molto limitato rispetto a performance precedenti. Le due gitane Mercedes e Frasquita erano Cristina Melis e Francesca Micarelli, le quali non lasciavano traccia particolare, e dimostravano scarsa precisione. Corretti gli altri interpreti: Federico Longhi (Dancario), Paolo Antognetti (Remendado), Seung Pil Choi (Zuniga) e Francesco Verna (Morales).
Lukas Franceschini
27/6/2014
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