RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Nel mondo dei ciechi...

Aria Nuova, questo il titolo della rassegna 2022/2023 del teatro L'Istrione, ha debuttato il 21 ottobre con La musica dei ciechi, un atto unico di Raffaele Viviani del 1928, adattato e tradotto in siciliano da Valerio Santi. La trama, esile e incentrata soprattutto sullo scavo psicologico dei personaggi piuttosto che sulla vicenda in sé e per sé, vede un'orchestrina di ciechi tentare di sbarcare il lunario per le vie di Napoli (nella zona della pescheria di Catania nella trasposizione di Santi), sotto la guida di don Alfonso, l'unico a possedere un occhio funzionante e dunque in grado di guidarli e di raccogliere le elemosine e ridistribuirle; tormentati giorno per giorno da un pescivendolo che si diverte a seminare zizzania fra i musicanti, i poveretti cadono episodicamente in questo gioco perverso, tutto sommato espressione di quella guerra tra poveri sempre in agguato negli strati più diseredati della società, guerra della quale ieri come oggi governanti senza scrupoli e senza onore si servono per mantenere inalterato lo status quo e al tempo stesso i loro privilegi. Un giorno però questa lotta sotterranea raggiunge l'acme quando il pescivendolo insinua che la moglie di uno dei musicanti, Ferdinando, abbia una relazione con don Alfonso, scatenando un putiferio: la donna, nel tentativo disperato di difendersi, confessa infine al marito, che l'ama perdutamente, di essere troppo brutta per attirare un uomo, e che gli ha sempre detto di esser bella per non essere respinta, approfittando in tal modo della sua cecità. L'ordine finalmente ricomposto svela purtroppo menzogne antiche, ma al tempo stesso l'infinita malinconia che pervade l'orchestrina, malinconia per una menomazione che rende tutti sospettosi e pronti a credere alle parole del primo venuto, forse perché ha il dono della vista, e per una miseria inguaribile, ieri come oggi forse, derivante da uno stato che abbandona i diseredati della società, magari dopo essersi riempito la bocca di roboanti parole sull'integrazione sociale…

Un dramma attualissimo, come può vedersi, che Valerio Santi ha radicato efficacemente nel nostro territorio, unendo la tradizione napoletana della musica dei ciechi a quella dei nanareddi siciliani, attivi in Sicilia sin dalla seconda metà del Seicento, e ancora presenti sino alla prima metà del Novecento nel territorio catanese, e vivi sino a oggi nella memoria di molti anziani, che rammentano questi suonatori ciechi intenti a suonare e a cantare, non solo in periodo natalizio, presso le icone e le edicole cittadine. Alla tradizione dei nanareddi Santi ha affiancato anche quella dei pupi, riservando una parte della pièce alla maschera popolare catanese di Peppininu, anch'essa cieca da un occhio, metafora e intercapedine tra la realtà popolare e la finzione. Le musiche, tutte dal vivo, sono state in parte recuperate dal repertorio dei nanareddi, con originali e interessanti canzoni esemplate sul contrasto medievale elevato a dignità letteraria da Cielo d'Alcamo, e in parte hanno utilizzato brani di Francesco Paolo Frontini, compositore e direttore d'orchestra catanese, oggi dimenticato, ma nel Novecento molto noto, soprattutto per il suo Il piccolo montanaro, croce e delizia di tutti i giovani studenti di pianoforte.

Merito principale di Santi, oltre alla fedele e attenta trasposizione in siciliano (ma un siciliano contenuto, storicamente determinato, affatto incline a sbavature moderniste), è però quello di aver mantenuto intatta la struttura drammatica del lavoro, evidenziandone anzi la profonda tristezza esistenziale e sociale, senza indulgere a derive comiche e grottesche che affliggono spesso queste operazioni nelle mani di registi più attenti alla captatio benevolentiae che all'esigenza di ricreare un dramma o una commedia che abbia anche un suo senso nel mondo attuale. L'elemento comico, anzi, del resto presente anche nell'originale, ha mantenuto la sua amarezza di fondo, il suo senso del ridere per non piangere, la sua mordacità corrosiva, per cui alla fine si ride amaro, come voleva si ridesse Pirandello nel suo saggio sull'umorismo.

Tutta la compagnia, che agiva su una regia scarna ma essenziale, assolutamente orientata a mettere in luce i personaggio e le loro dinamiche senza alcun effetto distraente sullo spettatore, ha fornito una prova egregia, che è stata lungamente applaudita del pubblico: Concetto Venti ha reso fino in fondo la tristezza di Ferdinando, il cieco conscio della sua diversità e del suo essere sempre costretto a credere agli altri, mentre Salvo Scuderi ha prestato al suo U' Piscialoru una malignità mai sopra le righe, così come Melo Zuccaro ha saputo trarre al meglio gli spunti amari e comici del suo Don Lorenzo. Da segnalare ancora l'ottima prova al mandolino di Giorgio Maltese (Gennarino) e la rassegnata dolcezza con cui Cinzia Caminiti ha interpretato Nannina. Quanto a Valerio Santi, nel ruolo di Don Alfonso, ha confermato ancora una volta le sue doti attoriali, riuscendo a rendere, con una mimica eccellente e nonostante la sua giovane età, un personaggio maturo e amaro come quello di Don Alfonso, uomo profondamente buono e precocemente invecchiato dalle miserie della vita. Di buon livello anche le prestazioni di Mimmo Aiola (Don Vincenzo) e di Manfredi Rondine (il Giovanotto).

Repliche il 22 e 23 ottobre.

Giuliana Cutore

22/10/2022

Le foto del servizio sono di Giovanna Mangiù.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

22/10/2022