RECENSIONI
-

_ HOMEPAGE_ | _CHI_SIAMO_ | _LIRICA_ | _PROSA_ | _RECENSIONI_| CONCERTI | BALLETTI_|_LINKS_| CONTATTI

direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Salzburger Festspiele

Le metamorfosi di Ariodante

Esorcismo del tempo” è stato definito l'Orlando di Virginia Woolf, romanzo al quale il regista Christof Loy dichiara esplicitamente di riferirsi nell'allestimento dell'Ariodante salisburghese, già andato in scena durante il Festival di Pentecoste e in seguito ripreso nella rassegna estiva. Dall'opera letteraria deriva l'impressione di una temporalità indeterminata, del continuo slittamento fra passato e presente. Loy crea un mondo fantastico, tripudio dell'inventiva umana. Il protagonista sembra oscillare fra i due sessi, esplicitando il tema dell'androginia tanto caro alla Woolf. L'universo ariostesco, scrigno immaginativo, è il luogo ideale per tali riflessioni. L'opera sembra trascendere le diverse dimensioni dello spazio, del tempo e della sessualità. Merito anche delle scenografie ambigue di Johannes Leiacker, il quale mescola sapientemente fondali dipinti ispirati all'iconografia di Lorrain con l'essenzialità di un moderno biancore, del lavoro sulle luci di Roland Edrich e dei costumi di Ursula Renzenbrink.

E poi c'è la magistrale ironia della Woolf, innestata senza traumi sul dettato haendeliano. Durante l'aria “Con l'ali di Costanza” , la Bartoli può tranquillamente esternare la gioia di Ariodante simulando una solenne ubriacatura, mentre in “ Dopo notte, atra e funesta” può sgranare i propri virtuosismi canori, peraltro impeccabili, aspirando ampie boccate da un grosso sigaro. Trovate per strappare il riso al pubblico salisburghese, si potrebbe obiettare. Eppure nulla è gratuito, tutto sembra acquistare un senso che riconduce all'ironia di cui parlavamo sopra. Perno dello spettacolo la scena della metamorfosi. Dopo aver fornicato con Dalinda facendo credere di aver violato Ginevra, promessa sposa di Ariodante, il traditore Polinesso getta a terra le vesti della sua ostentata conquista. Di tali abiti l'eroe, sinora virilmente apparso con tanto di barba e baffi, si copre. Ognuno può contenere personalità diverse, sembra voler dire Christof Loy, seguendo il solco tracciato dalla Woolf. Del resto Ariodante è una partitura sofisticata, ricchissima di soluzioni quanto ampia è la gamma degli stati d'animo espressi dai protagonisti. La medesima natura del barocco musicale favorisce tale operazione. Ariodante si spoglia del proprio eroismo per rivelare una emotività fragile e disperata che richiama lo stereotipo femminile.

La vocalità astratta del controtenore, un bravo Christophe Dumaux nei panni del duca d'Albany, costituisce il contrappunto ideale alle pene del protagonista. La dicotomia dell'animo umano trova convincente esternazione nella scena finale del secondo atto nella quale Ginevra, sconvolta dal presunto suicidio dell'amato e dall'accusa di impudicizia rivoltale dal padre, precipita in un sonno agitato da pensieri funesti. Il tradizionale balletto, introdotto da un Händel qui più che altrove tentato dal gusto francese, diviene una ridda satanica, una notte di Valpurga durante la quale l'innocente Ginevra viene più volte violata da demoni che se ne contendono i favori sessuali. Il velo che divide realtà e apparenza viene squarciato, mentre le ambiguità che abitano l'animo umano si insinuano nella narrazione. La vittima Ginevra appare complice delle più audaci trasgressioni erotiche. La scena onirica esalta l'ambiguità del sentire umano. Anche il lieto fine conclusivo viene per così dire sporcato da queste immersioni negli abissi più insondabili della coscienza. Un'ultima notazione meritano infine le coreografie ideate da Andreas Heise per la conclusione di ogni atto, mai monotone o scontate, esteticamente appaganti.

Scattante, teatralmente intensa, densa di cromatismi strumentali e di sottili trasparenze la direzione di Gianluca Capuano, alla guida dell'ottima compagine dei Musiciens du Prince di Monaco. Della Bartoli si è già detto. Basti aggiungere le sue doti attoriali, la naturale capacità di avvolgere ogni pagina, anche la più malinconica, di una solarità innata. Addirittura straordinaria l'aria “Scherza infida in grembo al drudo”, dove la sintonia con l'orchestra diviene totale nella morbidezza dei toni e nella malinconia degli accenti. Grande temperamento e ottime doti vocali mostra la Ginevra di Kathryn Lewek, così come eccellente appare Sandrine Piau, veterana del repertorio, nella parte di Dalinda. Rolando Villazón dona certo spessore al ruolo di Lurcanio, fratello di Ariodante, ma il fraseggio è sovente scomposto e lo stile haendeliano latita. Christophe Dumaux è un Polinesso sciolto nella recitazione, perfettamente adeguato al ruolo del perfido traditore. Nelle sue mani il duca di Albany raggiunge abissi di mefistofelica malvagità. Dumaux si fa apprezzare anche dal punto di vista vocale, ma forse una voce di autentico contralto avrebbe offerto maggiore sensualità al personaggio. Nathan Berg è un re di Scozia autorevole ma poco raffinato nella linea di canto. Buono infine l'Odoardo di Kristofer Lundin. Le grandi doti sceniche dimostrate dagli interpreti, tutti perfettamente adeguati alle intenzioni del regista, esaltano il valore di uno spettacolo complesso e raffinato, giustamente apprezzato dal pubblico salisburghese.

Riccardo Cenci

31/8/2017

Le foto del servizio sono di Monika Rittershaus.