Asinus in cathedra
L'estate, si sa, è foriera di calde e lunghe serate, di riposo, di pomeriggi domenicali infiniti, magari casalinghi, onde sfuggire alle orde barbariche che affollano le spiagge: confesso che mai e poi mai mi sarebbe venuto in mente di vagabondare più di tanto per il web, se un nuvolone importuno non si fosse abbattuto su Acitrezza, impedendomi di gustare appieno il mio riposo pomeridiano in mezzo al mare. Ma ormai era fatta: strappata al mio materassino da un temporale incipiente, eccomi a casa, e senza nulla da fare. Mi sono rivolta dunque al web, e curiosando curiosando mi sono imbattuta in un titolo catarelliano: Ridicoletto a Taormina. Incredula, e temendo che l'ineffabile assistente telefonista di Montalbano avesse colonizzato con le sue storpiature linguistiche anche la musicologia, ho letto, con la doverosa attenzione che il vetrioleggiante Enrico Stinchelli merita, il lungo articolo dedicato al Rigoletto andato in scena il 7 ed il 9 luglio scorsi appunto a Taormina, per la regia di Enrico Castiglione.
Leggendo, sempre con doverosa e riverente attenzione, il lungo articolo, ho ritenuto opportuno non saltare il preambolo, denso più di pettegolezzi da cortile che di serie analisi musicologiche, e sono infine approdata alla seconda parte, quella realmente dedicata alla critica. Qui lo Stinchelli accusava sostanzialmente Castiglione di plagio per il labirinto che costituiva la scenografia del Rigoletto, definendolo una brutta copia già vista della Maria Stuarda di Venezia del 2008: stranamente, però, aggiungeva che si trattava di moduli sistemati tipo giardino all'italiana. Dunque, a rigor di logica, il plagiatore non sarebbe soltanto Castiglione, ma anche Denis Krief, scenografo della citata Maria Stuarda, per non parlare delle migliaia di persone che, da Minosse e Dedalo in poi, hanno usato il labirinto. Eh, sì, perché mi sembra che lo Stinchelli, forse digiuno di semiologia e di metodologia della critica letteraria, confonda il plagio con gli echi dell'intertestualità, concetto ormai noto anche agli studenti universitari, e col quale si indica, grosso modo, il meccanismo per cui un topos artistico viene usato per una riverberazione di significato che approfondisca e amplifichi quello della lettera del testo trattato. Il labirinto è un topos archetipale, usato da secoli in molte manifestazioni artistiche, e finora nessuno si era posto il problema del plagio: anzi, a ben vedere, proprio Umberto Eco ne ha delineato le valenze nelle sue Postille a Il Nome della Rosa, e parlando proprio di echi dell'intertestualità.
Ma andiamo avanti: lo Stinchelli definisce ridotto il palcoscenico taorminese, e non se ne comprende il perchè: si tratta di uno spazio che consente l'utilizzo di masse ben più corpose di quelle del Rigoletto, e nemmeno una ripresa televisiva può farlo apparire ridotto. A proposito: da quando in qua la critica si fa dal divano di casa?
Sempre lo Stinchelli, dopo aver demolito praticamente tutti i cantanti, parlando male di tutti e imputando stonature inesistenti alla povera Rocho Ignacio (Gilda), lodava sperticatamente solo un comprimario, e cioè il Monterone di Gianfranco Montresor: per chi non conoscesse il libretto, dico che Monterone non ha un'aria, né un duetto, ma solo qualche recitativo, dove si limita a imprecare contro il Duca e Rigoletto: dunque, non si capisce bene come il critico abbia potuto descriverlo come voce morbida e ben emessa, dotata di fraseggio appropriato, accenti giusti, eleganza nelle movenze.
Ma continuiamo: più spassosa di tutte è la terza parte dell'articolo, dedicata a questioni economiche. Dopo aver riportato una lunga lettera di un'orchestrale ingaggiato da Castiglione per il Rigoletto, tizio naturalmente osannante alle eccelse qualità di critico dello Stinchelli, viene messo in rete anche il contratto per gli orchestrali, che risultano pagati € 60/80 per ogni prestazione, prova o recita che sia. E questi sarebbero i poveretti mal pagati? Ma lo sa Stinchelli che un insegnante di musica delle scuole italiane percepisce, netta, più o meno la stessa somma?
Insomma: quel che si evince da tutto l'articolo è solo una diffusa malevolenza, più o meno ingiustificata. Sorge spontaneo il sospetto che la tipologia di critici alla Stinchelli, quella insomma che trova la sua definizione in “di tutti disse mal fuorché di Cristo, scusandosi col dir non lo conosco”, intenda, più che informare il pubblico su quel che realmente accade sul palcoscenico, consumare una sorta di vendetta personale contro chiunque riesca, e comunque, a combinare qualcosa di buono, senza attingere al denaro pubblico e senza chiedere l'elemosina al politico di turno.
Giuliana Cutore
20/8/2013
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