Barcellona
La lunga assenza di Attila
Al Liceu mancava dal 1984 l'Attila dell'ancora giovane Verdi, e finora si contavano solo ventisei recite. Adesso è tornato per solo due in concerto, sicchè penso che almeno qui non lo vedrò/sentirò di nuovo. Il successo è stato grande, anche se il pubblico non affollava la sala. Mi chiedo se davvero sia più interessante un titolo popolare in forma scenica e con una compagnia ‘discreta' che non questa rarità (?) con alcuni elementi fuoriclasse. Ad esempio, con quest'opera si presentava per la prima volta qui il maestro (o devo dire la maestra?) Speranza Scappucci, che faceva una grande impressione grazie alle sue capacità per la concertazione, la padronanza di ritmo e dinamiche, e le indicazioni precise. Con lei, sia il bravo coro, come sempre istruito da Conxita García, che la competente compagine sinfonica del Teatro ci offrivano una grande esecuzione di un'opera che magari può sembrare facile ma non lo è per niente: un Verdi minore (?) è pur sempre Verdi.
Ildar Abradzakov tornava dopo tredici anni, e nella sua terza fatica lirica sembra che il suo destino sia cantare due recite in concerto di titoli non popolarissimi. Il suo protagonista era arcinotevole: l'impatto non era soltanto vocale – non ha un ‘vocione' ma sì tutte le condizioni per trionfare nella parte – ma anche di altissimo interprete, e in questo è stato l'unico tra tutti capace di costruire un personaggio a tutto tondo. Ovviamente un'ovazione interminabile salutava la sua grande scena dell'atto primo, e se la cabaletta doppia era antologica, ancora più geniale per il sottoscritto è stato il recitativo, degno di un grande artista.
Era anche l'occasione per il debutto in loco di Anna Pirozzi, magnifica Odabella soprattutto per la dovizia e padronanza di mezzi importantissimi che le consentivano di venire a capo di tutte le difficoltà (micidiali) della parte, sia nei momenti dove si richiede un canto di soprano drammatico d'agilità (aria di sortita) sia nei passi più raccolti e lirici (aria del primo atto), con una buona linea di canto, bel legato e pianissimo, e un volume e un'estensione (un po' meno nei gravi estremi) enormi.
Vasily Ladiuk era complessivamente un buon Ezio, l'ambiguo generale romano, ma gli manca un fraseggio più nobile e personale – sono passate quasi inosservate frasi meravigliose del grande duetto con Attila e nell'aria del secondo atto – e dovrebbe anche risolvere aspetti tecnici, come suoni ingolati, in particolare nel registro grave, e qualche problema d'intonazione; la sua prestazione migliorava man mano che procedeva la recita, e in assoluto il suo momento migliore era la cabaletta.
Josep Bros non è il cantante ideale per il ruolo di Foresto nè per timbro (armonici poveri e scarsi) nè per volume benchè la sua emissione, che gli ha consentito una notevole carriera come belcantista (soprattutto in Donizetti ma anche in Bellini) gli consentisse di farsi sentire in alcuni punti dei concertati. Contrariamente al baritono, convinceva più nella prima parte (prologo e atto primo) che non nella seconda.
Bene il tenore Josep Fadó nei panni di Uldino, il confidente del re degli unni che finisce anch'esso per tradirlo. Interessanti i mezzi del basso Ivo Stanchev, che si presentava nel ruolo del Papa Leone I.
Jorge Binaghi
10/4/2018
La foto del servizio è di Antonio Bofill.
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