B & B – Bruckner & Bychkov
Anton Bruckner è forse l'esempio più lampante di quanto possa essere deleterio l'ingegno senza un'adeguata dose di sicurezza in se stessi (e forse di autostima). I numerosi ripensamenti e ritocchi, le operazioni di taglia-e-cuci delle sue sinfonie non furono sempre farina del suo sacco: e, cedendo fin troppo facilmente ai consigli di amici, allievi e colleghi musicisti, per quasi ogni sua sinfonia abbiamo oggi diverse versioni, ciascuna con la loro ragione, storica o filologica, di esistere e di sopravvivere.
L'Ottava non fa eccezione. Bruckner la terminò nel 1885, ma le correzioni si protrassero fino al 1887, data della prima versione ufficiale. Quando venne eseguita per la prima volta, però, nel 1892, il pubblico la ascoltò già nella sua seconda versione, dopo una revisione durata dal 1887 al 1890. A ingarbugliare le cose contribuì anche Max von Oberleithner, allievo di Bruckner, che in occasione della stampa, nel 1893, propose altre modifiche, accettate (ma quanto volentieri?) dall'autore.
Che cosa salvare di queste (almeno) tre Ottave? Probabilmente la versione del 1890 è quella che uscì dalla revisione più autonoma e consapevole di Bruckner, e ancor oggi la più eseguita nelle sale da concerto.
A Torino, più precisamente all'auditorium Arturo Toscanini, questa Ottava mancava da dieci anni: da quando cioè la diresse Stanislaw Skrowaczewski il 12 marzo 2004. A ridarle nuova vita ci ha pensato Semyon Bychkov alla testa dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, nel sesto concerto della stagione, giovedì 4 e venerdì 5 dicembre 2014.
Con riferimento alla serata del 5, Bychkov ha offerto una versione netta, tesa e stringata dell'ultimo capolavoro sinfonico completo di Bruckner (la Nona si arresta infatti ai primi tre movimenti), non esente qua e là da quei pletorismi cui ci si deve giocoforza sottomettere in una partitura del maestro di Ansfelden. Data la strumentazione tipica bruckneriana è difficile, infatti, sottrarsi all'effetto di farraginosità e di affastellamento sonoro (tanto più che l'Ottava prevede l'organico più ampio mai concepito da Bruckner, con legni a tre, i quattro corni raddoppiati o sostituiti da altrettante tube wagneriane, tre arpe e piatti). Succede inevitabilmente anche qui, e, com'era prevedibile, ad esser più penalizzati sono stati gli ottoni, da sempre croce e delizia delle sinfonie bruckneriane, chiamati spesso a svettare sul resto dell'orchestra, ad imporsi in modo sfrontato. Molto compatti e soddisfacenti, invece, gli archi, anche nei non facili e frequenti passaggi di tremolo fitto e in pianissimo, soprattutto nel primo movimento. Complessivamente, comunque, il suono rimane sempre netto, fermato al punto giusto, con un'asciuttezza di gusto toscaniniano – massime nelle battute conclusive del primo e del quarto movimento – ed un'attenzione particolare alle sfumature della dinamica, ai crescendo e ai diminuendo. Grazie a tale impostazione generale, l'esecuzione di questo gigantesco monolite nella lettura di Bychkov ha evitato l'insorgere della noia, prevedibile nemica delle partiture troppo lunghe e troppo complesse (laddove il “troppo” è da commisurare con l'ascoltatore di turno), rimanendo costantemente tesa e vivida, tranne in alcuni passaggi del terzo movimento, lo sterminato Adagio, condotto ad una velocità lievemente superiore al previsto, quasi un Andante moderato (notiamo qui, tra l'altro, l'indicazione nicht schleppend, non strascinato, che diverrà così tipica del suo allievo più famoso, Gustav Mahler): e sebbene Bruckner abbia scritto feierlich, solenne, si nota, nella lezione di Bychkov, una propensione più alla riflessività e all'intimismo che alla solennità, cosa che non guasta, in una pagina così densa e pulsante, al punto da essere, non a caso, considerata il vertice dell'intera sinfonia.
Christian Speranza
21/12/2014
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