Un ballo in maschera
alla Fenice di Venezia
Il Teatro La Fenice ha inaugurato la Stagione Lirica e di Balletto 2017-2018 con l'opera Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi, sul podio il maestro Myung-Whun Chung, nuovo allestimento di Gianmaria Aliverta, protagonista il tenore Francesco Meli. Lo spettacolo ideato da Aliverta è ambientato in un'America ottocentesca in piena evoluzione sociale con l'abolizione della schiavitù. Non possiamo dire che ci troviamo a Boston poiché nella scena finale appare la Statua della Libertà. Questa trasposizione non avrebbe effetti particolari se non vi fosse un errore di fondo nella concezione del regista: quello di anteporre la questione politica alla passione. Sarebbe prolisso fare qui una genesi dell'opera e della lunga e complicata vicenda delle trasformazioni cui Verdi e Antonio Somma dovettero adattarsi su dettame della censura, ma il nucleo della drammaturgia dell'opera è e resta la passione amorosa tra Riccardo e Amelia. Tutto si sviluppa attorno a questo sentimento “impossibile”, gli altri personaggi, con sfaccettature diverse, ruotano attorno ai protagonisti. La questione politica è marginale e appena pennellata da Verdi, ad eccezione dalla scena della congiura, che fu voluta dal compositore per il grande effetto teatrale. Dovremmo trovarci a Boston, dove il Governatore Riccardo è a capo della colonia inglese. Tutto eliminato, e la trasposizione non trova riferimento e connessione con la guerra civile e le discriminazioni razziali che ebbero un peso diverso e maggiore nell'Ottocento americano. Non è il caso di parlare degli incappucciati, chiaro riferimento al Ku Klux Klan, che col Ballo in maschera non ci azzecca per nulla. Leggendo le note di regia capiamo che il conflitto di razza ha un peso molto importante per il regista, ma poi aggiunge che Kristin Lewis, Amelia, cantante di colore, ha sposato Renato e pertanto si è elevata socialmente. Opinione legittima, ma cosa c'entra con la vicenda? Quando la parte la cantava Leontyne Price o Antonietta Stella, non ci si poneva tale quesito. Troppe idee in questa lettura, che per la loro complessità scivolano di mano nella realizzazione, con la considerazione primaria che a mio parere poco è stato concepito in funzione delle idee originali, pur reggendosi su una lettura anche plausibile ma per nulla affasciante. La scenografia, ideata da Massimo Checchetto, è ben realizzata nella prima scena dell'atto I, un tribunale con grande scalone cui accedervi, ma fallisce clamorosamente la scena finale, senza un vero colpo di teatro e catapultandoci, con il calare di una grande bandiera americana, dentro un ambiente poco identificato ove troneggia la testa della statua della Libertà, citata prima, e dunque non più Boston ma New York? Inoltre la rupe girevole del II atto non entusiasma quale ambiente sinistro come avrebbe dovuto essere. I costumi di Carlos Tieppo sono molto eleganti ma lascia perplessi il primo abito di Riccardo, più idoneo a dei romanzi d'appendice. Luci molto rifinite quelle realizzate da Fabio Barettin.
L'Orchestra della Fenice era in ottima forma e si adeguava alle istruzioni di Myung-Whun Chung, maestro direttore e concertatore, che nel Ballo evidenzia soprattutto il dramma, non mancando una ricercata inversione di ritmo nei brani brillanti. Chung spesso abusa di tempi lenti, troppo, ma non perde mai la linea parallela tra buca e palcoscenico, inoltre non avendo a disposizione un cast eccellente, accomoda e accompagna tutti secondo le loro possibilità. Doveroso rilevare il grande intento riuscito nella ricerca di colori e l'ampio respiro sinfonico dei preludi. Una prova positiva ma non elettrizzante poiché talvolta mancava di tensione a scapito della narrazione. Eccellente la prova del coro diretto da Claudio Marino Moretti, preciso, duttile e raffinato in ogni intervento, e non meno convincente la prova dei Piccoli Cantori Veneziani preparati da Diana D'Alessio.
Nel cast primeggia Francesco Meli, un Riccardo dotato di splendida voce, cosa risaputa, ottimo fraseggio, perfetta dizione. Ci saremmo aspettati una maggiore varietà d'accento, ora che il ruolo è stato più volte affrontato, invece la strada intrapresa dal cantante sembra quella dello sfoggio di proprietà vocali dolci e molto armoniose, a discapito di tensione (nel II atto) e peculiari mezzevoci, che in un paio di occasioni non erano del tutto precise. Tuttavia, è oggigiorno una delle migliori carte spendibili nel ruolo, se non la più azzeccata, e nel complesso la sua performance è stata rilevante.
All'opposto l'Amelia di Kristin Lewis, purtroppo cantante in piena discesa. Di là di un timbro che sarebbe idoneo, si riscontrano grandi lacune sia in acuto, limitato e stridulo, sia nel registro grave, forzato e artificioso, cui si devono sommare soventi momenti d'intonazione precaria. Bravo Vladimir Stoyanov, il quale disegna un Renato compito e abbastanza controllato, con un fraseggio controllato, non particolarmente rifinito, ma per questo mai sopra le righe.
Poco in parte Silvia Beltrami nel ruolo di Ulrica, la quale deve scendere a compromessi con una scrittura troppo grave per le sue corde, pertanto sovente con note aperte nel basso. Ciononostante il personaggio era realizzato al meglio, e un certo fraseggio ricercato valorizzava l'esibizione. Molto brava Serena Gamberoni, un Oscar molto rifinito e vocalmente preciso, cui si somma una presenza scenica di ottima soluzione.
Molto convincenti le parti secondarie, a cominciare dai bravissimi e insinuanti Samuel e Tom, rispettivamente Simon Lim e Mattia Denti, e dall'ottimo Silvano di William Corrò, il quale nel breve intervento ha messo in evidenza una voce bellissima e omogenea, pastosa e di ampio volume (possibile che questo cantante, di casa a Venezia, debba essere sempre relegato a ruoli di carattere?). Professionali Emanuele Giannino, un Giudice, e Roberto Menegazzo, servo d'Amelia.
Durante l'esecuzione pochi applausi, o contenuti, ma al termine il pubblico che gremiva La Fenice ha tributato un caloroso consenso a tutta la compagnia, con particolari ovazioni per il direttore, Meli e la Gamberoni.
Lukas Franceschini
11/12/2017
Le foto del servizio sono di Michele Crosera-Teatro La Fenice.
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