Barcellona
Comincia la stagione
In un momento molto delicato della Catalogna e di Barcellona un'inaugurazione ufficiale della tradizione stagione del Liceu con tutta normalità, mentre alcune istituzioni catalanissime se la danno a gambe, è un bene. Com'è un bene la scelta di Un ballo in maschera di Verdi. Anche se risulta deludente il nuovo allestimento, in coproduzione con Tolosa e Norinberga. Già si era visto prima qui uno spettacolo di Vincent Boussard con costumi di Christian Lecroix, scene di Vincent Lemaire e luci di Guido Levi: un Capuleti belliniano che sembrava una sfilata di modelli. Questa volta la sfilata c'era, solo e parzialmente, nell'ultimo quadro dell'opera. Un'epoca non determinata ma piuttosto contemporanea, a parte qualche vestito del protagonista (atti primo e terzo). Questo governatore di Boston con un sipario dietro e una faccia di donna ignota, qualche barlume di mare/oceano e una navicella di carta, una piccola sedia regale, un molesto sipario, una forca con un pupazzo appeso, un grande lampadario, vestiti da ballo in maschera – ma il protagonista, diventato suicida, non lo indossa e segue perfettamente tutta la scena tra Renato e Oscar-paggio/drag queen. Più qualche ‘originalità', come l'auto telecomandata del bambino di Amelia-Renato che semina il terrore tra Sam e Tom durante il quadro primo dell'atto terzo, più la povera Amelia immobile con vassoio e bibite in attesa che suo marito finisca di cantare ‘Eri tu', applausi compresi. Aggiungete entrate anticipate di coro e solisti, perchè non solo il libretto dice le cose ma anche la musica, e vi farete un'idea. C'è in più che il palcoscenico del Liceu è molto più vasto di quelli degli altri teatri per cui ci si trovava in una casupola più adatta a, mettiamo, Hänsel und Gretel. Alla fine proteste ma non troppo forti. E passiamo al sodo.
Renato Palumbo concertava la serata con esiti alterni, tempi alquanto arbitrari che mettevano in difficoltà coro e qualche cantante e più di una volta il vigore espressivo veniva scambiato con troppo volume. I migliori momenti erano quelli ‘spiritosi', tranne le due ariette di Oscar, particolarmente la seconda, quella della drag queen, per intenderci: ‘Saper vorreste'. Bene orchestra e coro, istruito quest'ultimo da Conxita García, che incominciava troppo piano, quasi inudibile e in qualche momento della serata si tornava a osservare il problema: un tentativo superfluo per contribuire all'atmosfera di cospirazione. Interveninva anche il coro di bambini VEUS diretto da Josep Vila i Jover.
Nella compagnia di canto (ce ne sono due) spiccavano Piotr Beczala – oggi come oggi riferimento e garanzia nella difficile parte di Riccaerdo, visto che per una volta non eravamo in Svezia, e Carlos Álvarez, grande Renato, sulla cui importanza per i detti ruoli sarebbe inutile insistere. Il pubblico li applaudiva tantissimo dopo le arie e a fine spettacolo. Dolora Zajick, Ulrica, non veniva annunciata malata, e, non essendo dunque questo il caso, il noto mezzosoprano non sembrava trovarsi precisamente in stato di grazia. Quasi inudibile (!), acuto debole e stimbrato, grave scarso, qualche suono nel registro centrale faceva pensare alla cantante di un tempo. Keri Alkema, Amelia, ha sì una voce importante, ma che non sempre si proietta bene, di grave ingolato, scarse mezzevoci e un acuto poco duttile con tendenza a crescere. Elena Sancho Pereg era un simpatico paggio, dalla voce tipica di soubrette con un punto di acidità. Corretto il Silvano di Damián del Castillo. Pessimo il Sam de Roman Ialcic, dall'emissione intermittente, e buoni mezzi quelli del giovane Antonio Di Matteo nei panni di Tom. Insufficienti gli altri. Folto pubblico e successo travolgente per i due principali interpreti maschili.
Jorge Binaghi
9/10/2017
La foto del servizio è di Antonio Bofill.
|