Che invenzione prelibata!
Opera tra le più amate dal pubblico per la sua irresistibile comicità e per i personaggi che molto hanno ancora da spartire con le maschere della Commedia dell'Arte, Il barbiere di Siviglia rappresenta senz'altro una sfida per chi oggi voglia metterla in scena: se l'orecchio va ai grandi cantanti che scolpirono i ruoli, cristallizzandoli quasi in una perfezione più ideale che reale, ancor oggi vagheggiata e rimpianta più o meno a sproposito, l'occhio va ai grandi e sontuosi allestimenti che i teatri lirici hanno via via allestito nel corso dei decenni, impreziosendoli con baritoni e contralti celeberrimi, o reinventando (ma a volte anche violentando) il libretto con inserti di giocolieri e mimi, atti più a distogliere dall'opera che a focalizzare l'attenzione, o escogitando regie che ammiccavano esplicitamente ai cartoni animati o a stilizzazioni eccessive. L'edizione del capolavoro di Rossini alla quale abbiamo assistito l'8 agosto al Teatro Antico di Taormina, ultimo atto della Trilogia di Siviglia, comprendente Carmen, Don Giovanni e appunto Il barbiere di Siviglia, con la regia e le scene di Enrico Castiglione, direttore artistico della sezione Musica&Danza di Taormina Arte, costituisce in certo qual senso una voce nuova fra le tante messe in scena dell'opera del Pesarese, per un originale impianto che, dando pieno rilievo alle potenzialità comiche della vicenda, rifugge tuttavia da innaturali forzature e da confusioni temporali, ripristinando anzi la reale filiazione che i personaggi di Beaumarchais, reinventati da Cesare Sterbini, hanno col grande patrimonio teatrale italiano rappresentato dalla Commedia dell'Arte.
A ben guardare, infatti, Rosina e il Conte di Almaviva altro non sono che i classici innamorati presenti in ogni Commedia dell'Arte, oggetto di trame più o meno oscure da parte di un vecchio e avido tutore, appunto don Bartolo: generalmente interpretati dagli attor giovani, affidavano il loro sogno d'amore alla figura dello zanni, il servo furbo e scaltro, con vari nomi a seconda delle regioni italiane, qui sostituito efficacemente da Figaro. Quanto all'azzeccagarbugli, ipocrita e imbroglione, generalmente il dottor Balanzone, nel Barbiere trova il suo efficacissimo riscontro in Don Basilio. Posta questa premessa, è chiaro che non si può non plaudire alla scelta registica di Enrico Castiglione di racchiudere sin dalla sinfonia i protagonisti in grandi coloratissime cornici, una per ogni protagonista, sottolineando implicitamente la tipizzazione dei personaggi, cardine della Commedia dell'Arte, cornici dalle quali i cantanti continueranno ad uscire, ciascuno dalla propria, ad ogni ritorno in scena, e nella quale altrettanto ordinatamente rientreranno, sottolineando non solo la loro reale filiazione storica dagli Arlecchini, dai Brighella e dai Pantalone e Balanzone, ma anche creando quasi un doppio piano della mimesis scenica, e cioè vocale e teatrale in senso stretto, alla quale corrisponde appunto l'alternanza canto-recitativo secco ancora presente nel Barbiere.
Inoltre, data la sequenza delle repliche della Trilogia di Siviglia, la soluzione di utilizzare le mura componibili della Carmen come sfondo sia del Don Giovanni che del Barbiere, ha dato modo a Castiglione di modificare con pochi, geniali tocchi (il pavimento a scacchi per Mozart, le cornici per Rossini), l'impianto scenico di base, tramutandolo ogni volta in qualcosa di assolutamente nuovo e accattivante, complice anche lo studio accorto delle luci che, appunto nel Barbiere, hanno accompagnato la scintillante musica, seguitando con fedeltà pressoché assoluta il ritmo, le pause, evidenziando i movimenti scenici, fornendo quasi uno sfondo cangiante e mutevole come gli umori dei personaggi. Di questi ultimi Castiglione ha curato con pazienza certosina, quasi con lavoro di cesello, non solo la mimica, la gestualità, la disposizione sul palcoscenico, inventando soluzioni alternative ma efficacissime, come quando Almaviva-Don Alonso fa lezione di canto a Rosina non seduto al clavicembalo, ma mimando la direzione orchestrale, in un'interazione tra orchestra e cantanti dai risvolti esilaranti, ma anche le disposizioni di gruppo, veri e propri quadri viventi all'interno di un impianto già dominato dall'idea del quadro: in particolare, di grande effetto tutta la regia del finale dell'atto primo, dove i movimenti e le disposizioni sembravano davvero accompagnare passo passo ogni nota dell'orchestra.
Bellissimi come sempre i costumi ideati da Sonia Cammarata, che ha optato per un abbigliamento delle masse corali abbastanza disomogeneo, sia per quanto riguarda i musicanti che i soldati, riuscendo ad amplificare il senso comico di una vicenda basata su equivoci, colpi di scena e camuffamenti. Eleganti gli abiti di Rosina, che esordiva in una morbida e civettuola veste da camera rosa (anche qui gioco tra realtà e finzione), per poi indossare vesti dalle calde tonalità dorate interrotte qua e là da fiocchi celesti o da arabescati disegni. Interessante anche la scelta di non paludare Basilio nella consueta tonaca da abate (del resto non giustificata da nulla, dato che nel libretto lo si definisce maestro di musica), riservandogli invece un costume meno tipizzato, ma certamente più adatto ad un personaggio che Giovanni Di Mare ha disegnato con grande vis comica, rendendolo lieve e ilare, il vero e proprio “imbroglion di matrimoni” stigmatizzato da Figaro.
E qui va aperta una parentesi per quel che riguarda la vocalità di Basilio: decine e decine di incisioni celebri ci hanno abituato all'aria della Calunnia eseguita da bassi profondi, alla Pasero o alla Rossi-Lemeni, che la interpretavano con una vocalità suggestiva certo, ma forse un po' troppo tenebrosa per un ciarlatano da due lire, imparentato più con Dulcamara che con il Commendatore o con De Silva. Il Basilio di Di Mare ha invece utilizzato un registro certo più leggero, che non avrà mancato di scandalizzare i melomani incalliti, ma che a nostro modesto parere era invece più confacente ad un personaggio cattivo per modo di dire, buffone più che malvagio, pronto a cambiare bandiera alla velocità della luce per una scarsella ben piena d'oro. Esilarante nei duetti con Bartolo e col Conte, ha cantato la Calunnia per quel che è: appunto un'aria che tipizza un personaggio che tira a campare, che imbroglia a più non posso, dove dunque la voce non deve sfoggiare toni tenebrosi, ma alleggerirsi volta a volta nello scherzo, nell'insinuazione, mirando più alla risata che al compiacimento sulla vocalità.
Ottima prova ha dato anche Marcello Lippi nei panni di Bartolo: voce morbida e abbastanza estesa, si è disimpegnato con grande professionalità nel tipico canto rossiniano dove la parola sembra sciogliersi quasi in onomatopea musicale, senza cedere nemmeno nei momenti più rutilanti e impegnativi, evidenziando anche interessanti doti coreutiche.
Baritono dalla voce calda e potente, Daniel Ochoa è stato un Figaro di notevole spessore, a proprio agio nei passaggi di registro, il che gli ha permesso di cantare in maniera sempre perfettamente coperta la celebre cavatina, senza mai forzare né sgranare, mantenendo anzi un ottimo controllo nell'emissione vocale. La dizione un po' sporca non ha nuociuto al personaggio né al canto, trattandosi più di difficoltà nelle doppie che di vere e proprie chiusure o mutazioni delle vocali.
Filippo Pina Castiglioni, nei panni del Conte, ha ripristinato la vocalità richiesta per il ruolo, evitando gli acuti di petto, non consoni al tenore rossiniano, e dando prova di buona tecnica degli abbellimenti: ha cantato la sua cavatina con toni morbidi, mai stentorei, nell'ambito di un ruolo di tenore di grazia spesso appesantito da altri interpreti, con grave detrimento della fedeltà al dettato rossiniano.
Infine, Irene Molinari è stata una Rosina di notevole spessore: mezzosoprano, invece del contralto richiesto dal libretto, si è disimpegnata con disinvoltura sia nella cavatina che nei duetti, dando prova di una voce ben estesa, dal corposo registro grave, e di una notevole musicalità, che le ha consentito di affrontare con successo una tessitura certo non facile.
Jacopo Sipari di Pescasseroli ha condotto con piglio sicuro la Taormina Opera Festival Orchestra, formata da giovani ma abbastanza agguerriti musicisti: con ritmo serrato ha reso con efficacia la rutilanza e la frenesia impresse da Rossini alla partitura, riuscendo a mantenere tempi decisamente consoni, anche nei momenti dove il temibile crescendo rendeva abbastanza arduo il compito.
Il Coro Lirico Siciliano, diretto da Francesco Costa, ha confermato ancora una volta le sue doti di compagine di notevole affiatamento, intervenendo sempre con compostezza, morbidezza di suono e attento controllo dell'agogica vocale, senza mai sovrastare i solisti né imprimere fastidiose forzature che affliggono purtroppo cori ben più blasonati ma molto meno curati musicalmente e tecnicamente.
Repliche l'11 e il 14 agosto.
Giuliana Cutore
9/8/2015
Le foto del servizio sono di Domenick Giliberto.
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