RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Barcellona

Duecento minuti di minimalismo

Al Palau della Música si è potuto ascoltare per la prima volta il titolo fondazionale dell'opera minimalista, Einstein on the beach di Philip Glass, all'interno di una serie di concerti che hanno come elemento comune le musiche del compositore statunitense. Nata nel 1976 al Festival d'Avignone con una durata di più di cinque ore (autori della concezione generale Robert Wilson e l'autore, affiancati da Christopher Knowles, Samuel M. Johnson e Lucinda Childs per i testi), è arrivata qui in una versione posteriore di ‘sole' tre ore e venti minuti senza sosta ma il pubblico poteva circolare in sala o fuori come gli artisti lo facevano sul palcoscenico senza la messinscena di Wilson (immagino molto adatta) ma con scene (?) di Germaine Krup, costumi di Anne-Catherine Kuns, drammaturgia di Maarten Beirens, l'intervento come voce recitante della bravissima Suzanne Vega, l'Ictus Ensemble per la parte strumentale e il Collegium Vocale della città fiamminga di Gent, tutti diretti da Georges-Elle Octors e Tom De Cock.

Un evento importante indubbiamente ma il sottoscritto, che non si è mosso per 150 dei 200 minuti, si è finalmente stancato di tanti bei piccoli motivi ripetuti fino all'esasperazione e – prima volta – se n'è andato senza ritornare, come avevano fatto in molti anche se alcuni si sono presi un intervallo ‘oceanico' e poi sono tornati per la fine.

Non so dire se questa è un'opera lirica. Uno degli autori dei vari testi del programma dice, mi pare non come commento positivo, che “per gli stessi giorni al Met si ascoltavano I Puritani ...”. Ignoro se il titolo di Bellini è l'esempio di cosa sia un'opera ma si avvicina parecchio di più di questa che non ha una trama tanto per cominciare. Einstein viene personificato da un violinista – tutti bravissimi gli interpreti e dei santi o dei martiri, o entrambe le cose, perchè devono suonare sempre lo stesso con minime variazioni nella dinamica e nella ritmica, come pure succede con cantanti che solo cantano note, numeri, qualche parola e magari anche qualche frase – ma per quel che riguarda la spiaggia non saprei cosa dire malgrado se ne faccia menzione in uno dei testi. La Vega è artista validissima e le volte che non si capisce niente di quanto dice, neanche con il testo in mano, sono sicuramente volute, mentre le altre mettono in rilievo degli accenti e una voce come quelli delle sue note canzoni. L'unico momento difatti dove la musica ‘prende' sono le variazioni sul testo della parte chiamata ‘Trial 2/Prison' che incomincia con le parole ‘I was in this prematurely air-conditioned supermarket', ossia ‘Mi trovavo a un supermercato con l'aria condizionata in modo prematuro', e soprattutto perchè la musica fa da cornice, con coro, alle parole che ripete – anch'essa – la Vega.

Le luci pure si ripetono ciclicamente, molto belle, ma visto che la figura evocata è stata decisa solo dopo considerare nomi un po' diversi come Gandhi e Hitler e che i testi sono del tipo di quello sopra riportato mi sentirei di dire che forse si tratta più di un ‘happening' estremo come quelli dell'epoca (strano che tra tutti i nomi della nuova cultura nordamericana del tempo non venga menzionato negli articoli quello di Warhol) che di una vera e propria opera. In ogni caso va detto che il deprecato Met presentava poco dopo la prima due recite con il tutto esaurito, ma mi pare che non ha ripreso mai più questo titolo, e invece sì l'ha fatto – bene o non così bene – con quei poveri Puritani ...

Jorge Binaghi

31/5/2019

La foto del servizio è di Antonio Bofill.