Il corpo tempio dell'anima
I am beautiful di Roberto Zappalà
La rassegna “Natale al Bellini” si è conclusa con il balletto I am beautiful, quarta tappa del progetto Transiti Humanitatis, avviato dal coreografo Roberto Zappalà nel 2014 insieme alla sua compagnia di danza. Lo spettacolo, andato in scena al Bellini di Catania il 4 gennaio (con replica il 5), è stato realizzato in collaborazione con prestigiosi enti, quali ImPulsTanz-Vienna International Dance Festival, il Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara, il Teatro Garibaldi/Union des Théatres de l'Europe di Palermo, e appunto il Teatro Massimo Bellini di Catania. I am beautiful, presentato nel novembre scorso all'Euro-Scene Festival di Lipsia, con un lusinghiero successo di critica e di pubblico, rimanda, come gli altri spettacoli del progetto, ad un'esaltazione laica della corporeità, dove la fisicità umana è vista come sede dell'anima, ma nel senso di condizione essenziale perché l'anima possa essere tale. Non più quindi la cattolica, e non solo, mortificazione del corpo come carcere dell'anima – e in tal senso doveva certamente suonare ironica la citazione musicale dello Stabat Mater ad opera del gruppo I Lautari che hanno eseguito dal vivo le musiche originali di Puccio Castrogiovanni – ma al contrario una celebrazione umanistica del corpo quale unico mezzo che è dato all'uomo per vivere la propria esistenza, e senza il quale anche l'anima non avrebbe, come insegnavano i filosofi sensisti, “organi” per poter conoscere il mondo che la circonda.
La danza, espressiva ai limiti del tribale in alcuni quadri, si scomponeva in altri in suggestivi tableaux vivants, dove il gioco muscolare si esacerbava in pose ai limiti dell'impossibile, o si pietrificava in istanti di assoluta stasi che disegnavano sagome seducenti sullo sfondo delle crude luci che illuminavano il palcoscenico. In tali momenti era la sola musica a parlare, ossessiva, talvolta quasi un pugno nello stomaco, dove l'amplificazione a tratti eccessiva era cercata, voluta, certo per creare un effetto martellante sul pubblico.
Senza dubbio si trattava di uno spettacolo non godibile nel senso usuale del termine, dove lo sforzo di comprensione è stato spesso messo a dura prova, innanzitutto per i notevoli echi intertestuali che sia la coreografia che la musica additavano. I costumi disadorni, monocromatici, su uno sfondo altrettanto minimalista ed essenziale, rimandavano ad ambientazioni futuribili, ad un uomo ridotto a numero, ad elemento, e qui il rimando a Il mondo nuovo di Aldous Huxley, con le sue gerarchie socioumane rigidamente suddivise, con gli Alfa al comando e i quasi deformi Epsilon al fondo, era pressoché d'obbligo, confermato in taluni passaggi anche dalle smorfie dolorose che contraevano i volti di alcuni ballerini. In altri momenti, le luci si modificavano sino a ricordare quelle del film Metropolis di Fritz Lang, anch'esso epopea dell'uomo ridotto a macchina. Ad un certo punto, a chi scrive è sembrato di udire all'interno delle musiche che rimbombavano, e con gli effetti acustici d'obbligo, anche il suono del monolite di 2001 Odissea nello spazio.
E proprio il quarto movimento del film di Stanley Kubrick addita un umanesimo allargato sino ai confini dell'universo, a significare che ovunque l'uomo si trovi, qualunque civiltà possa incontrare, i suoi mezzi espressivi, le sue fonti di conoscenza, le sue curiosità, le sue esperienze, dovranno passare comunque attraverso il corpo, quello stesso corpo rigido, deformato, col quale l'astronauta sopravvissuto alla furia assassina di HAL entra nella camera del tempo infinito all'uscita della quale, dopo l'infinito e oltre, c'è il feto cosmico.
Questo corpo Zappalà ha cantato nel suo spettacolo, ora deformandolo, ora esaltandolo, ma ponendolo comunque al centro della sua ricerca espressiva, con l'ulteriore invito alla potenza dell'immaginazione che chiude il balletto, forse proprio quella trascendentale capacità di immaginazione alla quale Immanuel Kant, molti secoli fa, affidò il ruolo di tramite tra intelletto e ragione, e dunque tra corporeo e spirituale.
Giuliana Cutore
5/1/2017
La foto del servizio è di Giacomo Orlando.
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