La Nona di Beethoven
inaugura la stagione concertistica 2020 del Bellini
L'ultima sinfonia di Beethoven incorona il suo percorso compositivo e rappresenta sicuramente una pietra miliare di tutto il sinfonismo occidentale, anche perché il lato originale e curioso della Nona sarà l'introduzione del coro nell'ultimo tempo (da ciò l'appellativo di Corale). La melodia resa celebre nel Finale era già adombrata in un Lied del 1794 intitolato Gegenliebe, ma in seguito il compositore lo sviluppò ulteriormente traendo ispirazione dai versi dell'Ode alla Gioia del poeta Schiller, composizione nella quale vengono esaltati i concetti di pace, amore e fratellanza universale fra tutti gli esseri umani – e non è sicuramente casuale che il motivo sia diventato l'inno dell'Unione Europea.
Da un punto di vista generale potremmo affermare anche, come ben sottolinea il musicologo Max Chop nel suo volume Le nove sinfonie di Beethoven che «…la Nona è rivelatrice anche a chi consideri la psicologia poetica e la filosofia pratica di Beethoven: essa abbraccia non solo dal punto di vista musicale la somma delle sue capacità artistiche, ma è nello stesso tempo il riassunto della vita del Maestro, cioè l'aspirazione a uscire dalla solitudine della sordità, a entrare nella cerchia di amici animati dai medesimi sentimenti, a far parte di quella comunità umana che sola può offrire la profonda gioia interiore. I singoli tempi descrivono il passaggio dalla solitudine desolata alla gioia universale».
L'interpretazione della Sinfonia n. 9 in re minore op. 125 di Ludwig van Beethoven offerta al pubblico etneo il 10 gennaio dal maestro Gelmetti ha voluto mettere in evidenza in modo peculiare gli aspetti di estrema gioia, allegria, baldanza e giovialità della possente partitura, senza eccessivi compiacimenti e cedimenti a cesellate raffinatezze sonore che sicuramente ne avrebbero impoverito il compatto e addensato complesso fonico, dove il colore orchestrale rifulge come un gigantesco arco iridescente che mette in mostra tutti i colori dello spettro solare. Di particolare dolcezza e soavità si presentava invece il terzo tempo (Adagio molto e cantabile) che in realtà, all'interno della struttura dell'intera sinfonia, costituirebbe l'ultima tappa dell'umana sofferenza prima dell'apoteosi costituita dall'ode di Schiller. Questo penultimo movimento è stato conformato dal genio di Bonn come una serie di variazioni su due temi di carattere l'uno lirico e l'altro patetico.
Il Finale della sinfonia inizia con un Presto di andamento energico, poi una sezione recitativa affidata a violoncelli e contrabbassi prepara il primo intervento vocale, quello del basso. Al termine del recitativo del basso Amici non questi suoni, il coro assieme ai soli (soprano, contralto, tenore e basso) entra con tutta la sua veemenza cantando l'inno che esalta la fraternità fra tutti gli uomini. Dopo un nuovo intervento del coro su un ritmo di marcia entra il tenore che nel suo recitativo invita gli uomini a mettersi in cammino verso il sogno di fratellanza universale. Dopo l'Andante maestoso, il tema della gioia sfocia in una doppia fuga che diventa l'asse portante della maestosa ripresa e come una grande cascata d'acqua si precipita nella spumeggiante coda del Prestissimo conclusivo.
I quattro solisti Valentina Varriale (soprano), Josè Maria Lo Monaco (contralto), Carlos Natale (tenore) e Karl Huml (basso) hanno assolto al loro compito con puntualità e professionalità inserendosi in modo encomiabile nell'esecuzione del coro del nostro teatro, preparato con cura e impegno dal maestro Luigi Petrozziello. L'orchestra del nostro teatro ha assecondato con accurata e oculata concentrazione e passione la gagliarda direzione del maestro Gianluigi Gelmetti. Reiterati e calorosi gli applausi del folto pubblico intervenuto.
Giovanni Pasqualino
11/1/2020 La foto del servizio è di Giacomo Orlando.
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