RECENSIONI
-

_ HOMEPAGE_ | _CHI_SIAMO_ | _LIRICA_ | _PROSA_ | _RECENSIONI_| CONCERTI | BALLETTI_|_LINKS_| CONTATTI

direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


 

Parigi

Quando Berlioz incontra Shakespeare

Philippe Jordan

L'opera di Berlioz oggi meno nota, Béatrice et Bénédict, viene normalmente riproposta in forma di concerto e in dosi modeste. Ogni volta si tratta di un successo, ma non abbastanza importante per assicurarle un posto permanente nel repertorio, malgrado nomi importanti che hanno scelto di farsi campioni di titolo e autore. Sicuramente le nuoce la parte molto importante di dialoghi che non si possono tagliare nè modificare arbitrariamente.

L'ultima estate si è vista – in un allestimento per la regia di Laurent Pelly – al Festival di Glyndebourne in un paese che, oimè, ha accolto da sempre Berlioz molto di più e molto meglio che nel suo di origine.

Adesso, due degli interpreti (i protagonisti) venivano scelti anche al Palais Garnier per un'unica recita con una 'mise en space' di Stephen Taylor, e cioè, una versione in forma di concerto ma con l'orchestra in buca, costumi non solo di cerimonia e un'adeguata interazione tra gli artisti, tra cui si annoveravano anche ben quattro attori teatrali che contribuivano parecchio al più che buon risultato raggiunto. Unica recita, ma con grandissimo successo e teatro pieno, come merita il signor Shakespeare messo in musica dal signor Berlioz. Penso, purtroppo, che neanche questa volta basterà a far ritornare presto quest'opera – in qualsiasi forma…

La direzione di Philippe Jordan era molto buona, brillante e spassosa come si deve, e con tutte le sfumature che testo e musica richiedono. L'orchestra ed il coro, istruito da José Luis Basso, rispondevano a tutte le esigenze in modo ineccepibile.

Protagonisti erano Stéphanie d'Oustrac e Paul Appleby. Il mezzosoprano è eccellente attrice e buona cantante, di ottima dizione e molto musicale malgrado alcuni acuti aspri. Il tenore è una di quelle tipiche voci ‘sassoni' (benchè nato negli Stati Uniti), un po' biancastra e con delle note fisse, ma la tecnica e l'articolazione sono perfette, e chiaramente conosce bene musica e testo.

Nell'aspetto puramente vocale la prestazione più straordinaria veniva però da Sabine Devieilhe (nei panni di Héro), il nuovo soprano di coloratura francese per cui tutti vanno matti. È giovane, seducente e, soprattutto, la sicurezza del suo canto è ammirevole sebbene il timbro non risulti troppo personale. Tra gli altri cantanti, François Lis (Don Pedro) e Florian Sempey (Claudio) si destreggiavano bene in quel poco che dovevano fare, mentre Aude Extrémo, nella non lunga ma per niente facile parte di Ursule, era molto soddisfacente, non essendo, certo, un contralto ma un mezzosoprano – almeno, però, un mezzosoprano e non il tipico soprano corto che si spaccia per tale come usa sempre più oggi. A parte va lodato Laurent Naouri che per una volta non faceva di quel ridicolo e pericoloso Somarone un frullato di caccole, ma un ruolo comico e critico per davvero, e che per di più lo cantava benissimo senza parlarlo o urlarlo.

Jorge Binaghi

4/4/2017

La foto del servizio è di Philippe Gontier.