GIOACHINO IL “TEDESCHINO” INVITA
IL SICULONAPOLETANO VINCENZO
Oltralpe quest'anno, in varie sedi e con esecuzioni non collegate, si è attirata l'attenzione sul primo Bellini, fino alla Straniera dei suoi fulgidi ventisette anni. La Straniera, per l'appunto, mentre ormai è praticamente bandita dalle scene italiane – alla Scala di Milano del trionfale battesimo nel 1829, per dirne una, manca addirittura dal 1935 – non patisce all'estero un'analoga “xenofobia”. L'opera più radicale di Bellini, quale la considera John Rosselli, oltre a sporadiche riprese in Francia, Olanda e isole britanniche, non è troppo rara nell'area di lingua tedesca e non solo nelle capitali. Tra dicembre e marzo la si è data undici volte a Passau (Baviera). A questa felice edizione bavarese ha fatto purtroppo seguito la deludente, malpreparata Straniera oratoriale di maggio al Concertgebouw di Amsterdam.
A sua volta il melodramma del favorevole debutto al Conservatorio di Napoli, Adelson e Salvini (1825), è stato eseguito a Londra in primavera e si è in attesa della registrazione in CD (Opera Rara). Un allestimento di Adelson e Salvini - eccezione alla serie estera - è previsto al Teatro Pergolesi di Jesi in novembre. Quanto alla “bicefala” Bianca e Fernando, la sua seconda versione, cioè quella inaugurale del Teatro Carlo Felice di Genova (1828), ha respirato a pieni polmoni aria svizzera quest'estate, tra Sankt Moritz e Basilea, con la prospettiva di riprese altrove. Ma è ritornata alla ribalta, a Wildbad, anche la prima Bianca, esordio teatrale di Bellini al San Carlo di Napoli nel 1826 - circostanza in cui Fernando dovette mutarsi in Gernando per non recare offesa al sacro nome dell'erede al trono (sarebbe “peccato” scrisse Donizetti, che giudicò “bella, bella” l'opera del collega siciliano). E si è trattato della prima ripresa in epoca moderna della versione napoletana, che è notevolmente diversa dal più scaltrito rifacimento di due anni dopo per Genova. Tra le “foreste imbalsamate” del Württemberg (Foresta Nera) il padrone di casa del Festival di Wildbad, cioè Rossini, ha tenuto a invitare in questo luglio il giovane Bellini.
Come spinto dal destino ad affermarsi rapidamente, Bellini, appena laureato dal Conservatorio approda al San Carlo, da dove spiccherà il volo verso la Scala e la tappa più importante del suo inizio di carriera, baciata dall'irripetibile Pirata (1827) (opera quest'ultima la cui infrequenza nelle locandine più che deplorevole è colpevole). Il perentorio successo napoletano della prima Bianca non dissuase Bellini dal rimaneggiarla da cima a fondo per Genova a due anni di distanza. Senza voler sminuire il valore di Bianca e Gernando, che merita sicuramente di essere riproposta, non si può non preferirle nell'insieme la seconda versione più ricca e più matura. Tra le pagine nuove, due si ritroveranno in Norma (1831): la cabaletta di Bianca nel primo atto si trasformerà nel celeberrimo ‘Ah! Bello, a me ritorna', mentre il coro ‘Tutti siam' del secondo atto diventerà ‘Non partì'.
Antonino Fogliani (messinese come gli zii e cugini Guerrera di Vincenzo) è da vari anni direttore principale del Festival, dove si ritrova puntualmente alla guida dei Virtuosi di Brno, anche loro di casa a Wildbad e in tandem abituale col coro Camerata Bach di Poznan diretto da Ania Michalak. Della compagine ben affiatata, nelle esperte mani di Fogliani, si avvantaggia l'esecuzione, che mette bene in risalto, del giovane compositore sul limitare di un ampio cammino, e il vigore drammaturgico e la maliosa soavità melodica anche negli squarci dello strumentale. Maggior vantaggio avrebbe ottenuto tuttavia una più vigile temperanza del forte . Presentata in forma oratoriale, Bianca e Gernando, si è avvalsa di un terzetto prestigioso di protagonisti e deuteragonista, formato dal soprano Silvia Dalla Benetta (Bianca), dal tenore Maxim Mironov (Gernando) e dal baritono Vittorio Prato (Filippo). La medaglia d'oro è facile da attribuire allo strumento argenteo (mi si perdoni il bisticcio), agile, vibrante ed espressivo di Silvia Dalla Benetta, convincente sin dal suo primo apparire, la cui intrepida Bianca culmina opportunamente nella gemma più preziosa della partitura: la romanza ‘Sorgi, o padre, e la figlia rimira', dove una tipica melodia belliniana, malinconica e lancinante al pari del flauto che l'accompagna, incanta irresistibilmente. (Già presenza importante a Wildbad nel luglio 2015, la Dalla Benetta passò nell'arco di pochi giorni in ottobre dall'autorevole protagonista di Elisabetta, regina d'Inghilterra di Rossini, al Teatro Comunale di Sassari, all'ardimentosa Gulnara nel Corsaro di Verdi al Regio di Parma).
L'argento va naturalmente, con ugual merito, a tenore e baritono. Mironov scala imperterrito e con eleganza la tessitura rubiniana del suo personaggio, che ha già la tinta di vigore e mestizia appannaggio di Gualtiero nel futuro Pirata. Quanto a Prato, che fu già suo veemente antagonista nei non facilmente dimenticabili Briganti di Mercadante (Wildbad 2012), il suo raffinato timbro baritonale rende più credibile e temibile il personaggio di Filippo, che resta, anche per colpa del libretto di Domenico Gilardoni, un malvagio di cartapesta drammaturgicamente poco consistente. E la medaglia di bronzo? Questa la conquista ma fortunosamente il basso Luca Dall'Amico nel secondario ruolo del duca Carlo - padre di Bianca e Gernando e tenuto prigioniero fino all'happy ending dall'usurpatore Filippo - svantaggiato dall'aspro e poco flessibile pur robusto metallo della voce. Degli altri basti rilevare che il mezzo soprano Marina Viotti (Viscardo en travesti) e il soprano Mar Campo (Eloisa) hanno reso interessanti i rispettivi ruoli, che il tenore Gheorghe Vlad si è cavato d'impiccio come Uggero e che al basso Zong Shi (Clemente) non giova affatto quel suo timbro ingolato impervio. Onorevole infine il contributo dell'agguerrito coro di Poznan ed entusiasmo fervido da parte del pubblico che gremiva i 450 posti della Trinkhalle.
Fulvio Stefano Lo Presti
5/8/2016
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