RECENSIONI
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Barcellona

Perle senza pescatori

Les Pêcheurs de perles di Bizet (più noti per molto tempo, non solo in Italia, come I pescatori di perle) è riapparsa a 55 anni dell'ultima ripresa del 1964, ancora in italiano e con Alfredo Kraus, al Liceu. Non si può dire che sia stato un ritorno molto fortunato. Come prima causa l'allestimento in un reality show tipo uno dei tanti Grandi Fratelli o simili. Risultato: troppa gente sul palcoscenico, confusione, rumori. Il coro viene piazzato sullo sfondo del palcoscenico in tante finestrine dove è difficile coordinarsi soprattutto se c'è un contralto accanto a un soprano e a un basso, come minimo – pare poi che i monitor non funzionassero come di dovere; maestra sempre Conxita García. Tutti sono deputati afungere da pubblico di varia specie (e quindi niente pescatori) e così non si capisce più niente tra testo, musica e azione. Le perle sì che c'erano in mezzo a un grottesco balletto (come tutti gli altri) dell'atto primo che dovevano vedersi quale critica a questo tipo di spettacoli e invece erano di un bruttissimo kitsch e basta. Che poi dovrebbe essere un'opera piuttosto semplice e qui è diventata una con tante persone sul palcoscenico che immagino avranno un loro bel prezzo. Una parte di un pubblico parecchio freddo ha buato alla fine anche se in parecchi si sono divertiti con un video che vedeva membri della troupe del Liceu votare per ‘morte' o ‘perdono' prima delle puntata finale – ovviamente votavano morte. È una coproduzione con il Teatro An der Wien, dove già è stata presentata.

La parte musicale poteva essere migliore. Yves Abel è un bravo maestro ma soprattutto nel primo atto l'orchestra era un po' forte. La cosa importante è che si è sentito per la prima volta il duetto originale di Nadir-Zurga e la fine senza il terzetto.

John Osborn (Nadir) è un grande cantante ma non sembrava nella migliore delle forme e il volume era un po' scarso – il piccolo quasi incidente alla fine dell'aria è una di quelle cose che possono capitare a chiunque. Ekaterina Bakanova, che debuttava al Teatro e cantava per la prima volta Leïla, l'ha fatto molto bene se si considera soprattutto che dopo queste recite potrà laurearsi come insegnante di yoga. Bella voce, fresca, non grandissima, buona tecnica, interprete volenterosa. Non si capisce invece a chi sia venuta in mente l'idea di scritturare per Zurga Michael Adams, che come nota positiva ha solo l'avvenenza. Da tempo non sentivo un baritono principale così poco adeguato – l'ultimo atto uno strazio per quanto riguarda intonazione, nasalità, voce ingolata tutto il tempo, pochissimo volume. Molto bene il Nourabad di Fernando Radò, che anzichè un grande sacerdote cattivo era un iperattivo presentatore dello show e quindi a questo punto sì che non si capiva un bel niente.

Io penso che la musica sia capace di venire a capo delle scemenze librettistiche ma alcuni non sono di questo parere e la trovano noiosa. Il dramma del triangolo amoroso certamente così funziona ancora meno. E si capisce meno, questo sì, che si sia pensato qui a due compagnie per ben dieci recite... Per la seconda avevamo come Nadir Dmitry Korchak, molto bene in acuto e note filate, meno in centro e grave, nasali. Olga Kulchynska era una brava Leïla, un po' stridula e praticamente senza mezzevoci e con dei trilli da scolara. Borja Quiza si sentiva molto, direi troppo, con un timbro poco bello, un'emissione aperta e una dizione del francese terribile – e un piccolo problema verso la fine e un altro all'inizio appunto per problemi tecnici di emissione. Federico De Michelis era un bravo Nourabad, più baritonale di Radó.

Jorge Binaghi

20/5/2019

La foto del servizio è di Antonio Bofill.