Barcellona
Deludente Boccanegra
Un Simon Boccanegra alquanto decaffeinato proseguiva la stagione del Liceu. Questo cronista non ha avuto finora un accredito per le tre recite con un cast diverso, con Domingo nel ruolo del Doge, bensì a una delle prime, le due che ha cantato Leo Nucci.
L'allestimento è quello del 2008 per la regìa di José Luis Gómez, un valente regista di teatro, che non si può dire cattiva od arbitraria, ma che non ha niente di particolare. Più che minimaliste le scene, costumi eterogenei (l'unica epoca non presa in considerazione è quella in cui trascorre l'azione del libretto), e troppo scura, anche pensando che quest'opera è notturna e cupa quasi sempre. La direzione artistica sembrava inesistente (si sa che nel caso di Nucci questo capita spesso), tranne l'efficace Paolo di Àngel Ódena, un eccellente baritono ed attore, che lo sarebbe ancora di più non fosse la quasi costante volontà di dimostrare il volume della voce.
L'intervento più notevole fu quello di Fabio Sartori, che faceva solo adesso il suo debutto al Liceu, e l'unico applaudito a scena aperta dopo la sua grande aria del secondo atto. Barbara Frittoli è indubbiamente una cantante di grande classe, ma oimè in uno stato di crisi che sembra ormai irreversibile, con un registro acuto gridato e fuori controllo; per di più il timbro in centro e grave risulta quasi sempre velato o nasale, e solo restano i bei suoni filati e la notevole presenza scenica. Leo Nucci è senz'altro un miracolo di longevità vocale, ma il timbro è sempre più secco, il grave suona poco, e se mai non ha avuto propensione alle mezzevoci adesso non ce ne sono: il canto è sicuro ma tutto di forza e in qualche momento (il cantante ama le corone) cede. Come interprete non è stato mai memorabile, e questo ruolo richiede anche un grande attore.
Vitalij Kowaljov canta bene e con bella voce, ma non ha il grave né, soprattutto, la maestà e l'autorevolezza di fraseggio che deve avere Fiesco. Tra i comprimari spiccava decisamente il capitno di Francisco Vas. Il coro incominciava in forma titubante, ma subito si riprendeva e diventava una delle colonne portanti dello spettacolo. L'orchestra suonava bene (gli archi hanno ancora lavoro da fare – vedi introduzione all'atto primo e alla scena del Consiglio), ma invece Massimo Zanetti, normalmente un abile direttore, sceglieva dinamiche estreme, rovinava la fine del prologo con un ritmo precipitato e chiassoso e ignorava certi momenti di estremo lirismo. È pur vero che sembrava preoccupato di quanto accadeva sul palcoscenico, in particolare a ogni intervento del soprano – Frittoli tagliava una frase a metà del duetto con il tenore, e perfino Nucci cambiava un ‘il voglio' per un semplice ‘figlia' durante lo scambio nel secondo atto.
Di successo non si può parlare considerando il teatro gremito e che si trattava di un'opera amatissima dell'amato Verdi. Applausi cortesi con dei bravi per Sartori, Òdena e Nucci.
Jorge Binaghi
20/4/2016
La foto del servizio è di Antonio Bofill.
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