Parigi
Verdi e il perdono
Finalmente Simon Boccanegra occupa il posto che gli spetta tra i grandi titoli di Verdi. Dell'importanza del perdono in tutta la sua vicenda artistica e in particolare nell'ultima parte della sua lunga e gloriosa carriera potrebbe parlarsi a lungo, e in qualsiasi caso quest'opera geniale sarebbe per forza un punto di riferimento. Quando, libera degli orpelli (o da qualcosa di peggiore) della scena la si sente in forma di concerto acquista una verità e una forza uniche. A Parigi il Simon Boccanegra arrivava, nella bella e grande sala del Théâtre des Champs-Elysées, assolutamente gremita e festante, dopo una prima esecuzione a Montecarlo. A parte considerazioni che si faranno ulteriormente va detto innanzitutto che si è trattata di una delle migliori versioni che oggi si possano ascoltare dal vivo.
Qui, ovviamente, l'importanza partiva dalla figura del protagonista, uno di quei regali che Verdi ha fatto ai baritoni. L'interesse dunque era molto forte per la presa di ruolo di Ludovic Tézier e il risultato è stato all'altezza. La voce non ha perso nè velluto nè omogeneità, ma si è allargata, spessita, con notevole peso in centro e gravi mentre l'acuto si mantiene facile e vigoroso. Per una prima e in forma di concerto, poi, fraseggio e dizione erano stupendi e di grande espressività: per citare un esempio meno ovvio che la scena del Consiglio – dove giganteggiò come di dovere – citiamo la frase “di mia corona il raggio/ la gloria tua sarà” nel grande duetto del primo atto con il soprano. Non rifuggiva le difficili mezzevoci e prediligeva – correttamente – le sfumature anziché un canto tutto di forza, a meno che richiesto esplicitamente dalla partitura.
Sondra Radvanovsky ha una voce davvero enorme, che può piacere più o meno se si prende in considerazione il tremolo un po' molesto e il timbro metallico che la caratterizzano, e per di più non mi pare che Maria Amelia abbia bisogno di quel fiume di voce, nè di un colore piuttosto scuro e poco squillante (vedi il difficile finale del concertato della scena del Consiglio), ma è indubbiamente una cantante d'importanza.
Ramón Vargas (Adorno) tornava a dimostrare la padronanza di tecnica e di stile: qualche volta la voce era un po' opaca senza che questo inficiasse la sua prestazione. Vitalij Kowaljow, arrivato a sostituire un collega malato, ripeteva il suo noto e buon Fiesco, con la bella sorpresa in più di un ultimo atto di antologia, e particolarmente nel duetto con Simone, quello, appunto, del perdono.
Nei panni del traditore Paolo Albiani il baritono André Heyboer può essere accettabile, ma non so se si potrebbe dire lo stesso in ruoli di altro tipo e soprattutto più difficili dal punto di vista vocale. Bene, ma forse troppo enfatici, i due comprimari uomini (Fabio Bonavita e Vincenzo Di Nocera) e corretta nella sua unica frase l'Ancella di Paola Scaltriti.
Notevole il lavoro del coro dell'Opera di Montecarlo, preparato come al solito da Stefano Visconti. L'Orchestra Filarmonica della stessa città era in grande forma, e l'esecuzione tecnica era affascinante. Per quanto riguarda l'interpretazione, corretta, di Pinchas Steinberg, solo in pochi momenti riusciva ad alzarsi al livello richiesto, anche se Verdi gli prendeva la mano per la scena del Consiglio e in non pochi momenti dell'ultimo atto. Molto competente, si mostrava molto attento alle voci, ma non è che si possa parlare di una grande o memorabile versione. Applausi roventi per tutti.
Jorge Binaghi
20/3/2017
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