Simon Boccanegra
alla Scala di Milano
Dal 2010 il Teatro alla Scala propone l'opera di Giuseppe Verdi Simon Boccanegra nell'allestimento di Federico Tiezzi, una coproduzione con la Staatsoper di Berlino, e l'alternanza di due soli protagonisti, questa volta ancora Leo Nucci. Simon Boccanegra è uno degli spartiti che non è mai stato dimenticato pur non avendo una frequenza assidua. Trattasi di un melodramma cupo, a tratti violento, ma intriso anche di lirismo e molta ispirazione canora, aspetti che si mescolano su un grande affresco storico, la Genova dei Dogi, in un segmento temporale di oltre un quarto di secolo. Imprescindibile il luogo ligure, nel quale il mare assume assieme alla natura circostante un ruolo non decorativo ma elemento scenico e musicale fondamentale.
Lo spettacolo di Federico Tiezzi, con le scene molto elementari di Pier Paolo Bisleri e i bellissimi costumi di Giovanna Buzzi, soffre di un'intrinseca staticità e di una sommaria drammaturgia. Lo spettacolo è comunque curato, anche se l'ovvietà prevale e non c'è uno scavo peculiare sui personaggi. Efficaci le luci di Marco Filibeck, che in più occasioni sopperiscono a scarse idee offrendo scene di un certo pregio. Molto bello il grande quadro di Friedrich , che s'inserisce nella chiave di lettura storica. Nel complesso uno spettacolo che si vede con piacere ma poco memorabile. Per la seconda volta, dopo le recite del 2016, su podio abbiamo avuto la gradita presenza di Myung-Whun Chung. Il direttore coreano ci offre una ragguardevole lettura dello spartito verdiano, molto partecipata e affascinante, nella quale prevale una tensione drammatica sottile e sentimentale. Molto accorto nel venire in soccorso a un cast non di primordine, egli cesella tutte le sezioni del non facile spartito con vivo respiro e fornendo l'occasione di un canto poggiato su un fraseggio ampio. Un aspetto forse limitato è stato il voler addolcire la “ruvidezza” insita nell'opera tragica e tetra di Verdi, avremmo preferito una lettura più ruvida ma non possiamo non rilevare che la modulazione dei colori è perfettamente cesellata ed elegante, e sicuramente d'effetto.
Leo Nucci, Simone, è il baritono che sappiamo, la lunga carriera parla da sola. Il suo Simone è interamente identificato nel padre e nel doge, vissuto e stanco. La voce seppur ancora abbastanza salda, è ridimensionata e più povera di colore e dolcezza. Più a suo agio nelle scene veementi rispetto a quelle più intimistiche ma nel complesso il ruolo è per molti aspetti apprezzabile. Krassimira Stoyanova, Amelia, è ancora in possesso di una bella voce ma più contenuta rispetto a esibizioni precedenti. Inoltre, il peso specifico della parte è spesso sopra le sue portate di oggi ma in compenso sono rilevanti un fraseggio eloquente e un sufficiente gioco di colori.
Fabio Sartori, Gabriele Adorno, è un tenore dalla voce squillante e ben impostata, peccato che l'accento sia monotono, la scansione della frase poco focalizzata, oltre ad un'interpretazione scenica sommaria. Delude invece Dmitry Belosselsky, Fiesco, il quale avrebbe un timbro appropriato ma è spesso ingolato e il registro grave approssimativo. Non riesce a cogliere neppure una resa scenica, che avrebbe sopperito a forti lacune. Senza infamia né lode il Paolo Albani di Dalibor Jenis, istrionico ma non perfettamente calibrato nell'espressione vocale. Professionali Barbara Lavarin, serva d'Amelia, e Luigi Albani, capitano dei balestrieri.
L'Orchestra del Teatro alla Scala ha fornito una grande prova, per compattezza di suono e finezze solistiche, di assoluto rilievo il Coro, diretto da Bruno Casoni, memorabile in ogni intervento. Vivissimo successo al termine con numerosi applausi a tutta la compagnia.
Lukas Franceschini
2/3/2018
La foto del servizio è di Brescia e Amisano-Teatro alla Scala.