La Bohème
al Teatro Filarmonico di Verona
La Bohème di Giacomo Puccini è stato l'ultimo titolo della Stagione d'Opera 2013/2014 al Teatro Filarmonico, titolo che è stato rappresentato con uno spettacolo di Pier Francesco Maestrini, figlio d'arte, il cui padre a Verona negli anni '60 e '70 del secolo scorso ha lasciato un segno tangibile. Inutile dilungarsi ancora una volta sul capolavoro pucciniano, opera perfetta nel sintetizzare in tavolozze musicali quel mondo così nominato che ha creato uno stile di vita, talvolta voluto, spesso capitato. La musica è fresca (1896) incalzante, tendente al lirico, ma di suggestiva narrazione, anche condita di particolari memorabili (Parpignol, l'assolo del bimbo che vuole il cavallino, doganieri e lattivendole). Il successo che ha sempre riscontrato sia nel pubblico sia nella critica parla da solo, come altrettanto sia stata eseguita da celebri bacchette con repertorio ristretto (Kleiber) o vastissimo (von Karajan), ma non solo loro.
Lo spettacolo firmato da Maestrini era molto bello ed originale. Prendendo spunto dal descrittivo musicale pucciniano egli lo abbina all'impressionismo pittorico francese quasi coevo. Pertanto abbiamo avuto la proiezione di celeberrimi quadri di van Gogh, Manet, Degas, Monet, e altri di cui non saprei il nome degli autori, da cui ha tratto le scene a forma di tableaux vivant . Operazione riuscitissima e di efficace impatto visivo. Questo avviene anche con l'ausilio dell'ottima prestazione attoriale di tutta la compagnia, e qui il regista trova momenti di puro autentico teatro molto brillante in alcune scene (atto I) e drammatiche (nel finale) che pur essendo nel solco della tradizione hanno un peculiare aspetto visivo e recitato. Molto belli i costumi di Carlo Savi, tipicamente ottocenteschi, e ancor più la scena che s'interseca con pochi elementi, una scala laterale, delle strutture edilizie sempre ai lati, con la perfetta proiezione dei dipinti citati.
Sul podio dell'Orchestra dell'Arena di Verona abbiamo trovato con piacere Jader Bignamini, che abbiamo ascoltato recentemente in ottime performance. Anche in quest'occasione egli ha confermato le sue doti direttoriali, regalandoci una lettura precisa e vibrante, e senza cadere nel manierismo trova la via efficace di una sempre attenta ed incalzante direzione, molto descrittiva e particolarmente fascinosa nei dettagli di particolare effetto teatrale narrativo.
Nel cast si metteva in particolare evidenza il baritono Alessandro Luongo, cantante con voce e fraseggio di eccellente vigore accomunati ad una recitazione altrettanto straordinaria. I due giovani amanti erano Chiara Angella e Jean-François Borras. La prima dimostrava una particolare convinzione interpretativa, ma con voce poco fascinosa e sovente stridula nel registro acuto. Il tenore è migliore dal punto di vista vocale, generoso e con bella voce anche se piuttosto chiara, puntuale nei pochi passi impegnativi ma il tutto a scapito di un'interpretazione sommaria. Molto bene Francesco Verna dall'ottima linea di canto, morbida e precisa. Marco Vinco era un Colline efficace, di variegato accento, ma la voce era meno morbida rispetto ad altre performance da me ascoltate; l'attore straordinario. Della Musetta di Daniela Burera si apprezzava più la parte scenica che quella canora, che dimostrava non particolare vivacità e qualche asprezza. Bellissima la realizzazione del vecchio Benoit che ne fa Davide Pellissero, manierata, vivace e del tutto ripulita da vezzi e stereotipi solitamente abusati. Completavano il cast con onore Piero Toscano (Alcindoro), Salvatore Schinao di Cola (Parpignol), Valentino Perera (Sergente dei doganieri), Nicolò Rigano (un doganiere). Puntuale e preciso sia il Coro della Fondazione Arena sia il Coro di Voci Bianche A.LI.VE. Il pubblico, che gremiva quasi completamente il teatro Filarmonico, al termine ha decretato un autentico successo a tutta la compagnia.
Lukas Franceschini 6/12/2014
Le foto del servizio sono di Ennevi.
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