RECENSIONI
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direttore responsabile _ Giovanni Pasqualino_


 

 

 

 


A La Bohème secondo Stinchelli,

tra vetrate liberty, jeans e minigonne

Abbiamo più volte scritto che, a nostro avviso, la funzione del critico d'arte dovrebbe oggi essere quella di garante dei diritti del consumatore, di un pubblico che, a ben vedere, paga il biglietto per una rappresentazione due volte: la prima come contribuente, la seconda come spettatore in senso vero e proprio. Molto spesso infatti si dimentica che dietro uno spettacolo ci sono o finanziamenti pubblici, statali o regionali che siano, o la speranza di tali finanziamenti, che bisogna procurarsi dimostrando non solo di aver realizzato lo spettacolo, ma anche e soprattutto di aver offerto al pubblico un lavoro di qualità, se non altissima, almeno dignitosa.

Fatta tale doverosa premessa passiamo senz'altro ad informare i nostri lettori riguardo alla Bohème di Giacomo Puccini, rappresentata al Teatro Greco di Taormina nei giorni 5 e 6 giugno, nell'ambito di Taormina Lirica, Eventi Mozzafiato al Centro della Storia: si tratta in buona sostanza di un piccolo Festival, sotto la direzione artistica e musicale di Alberto Veronesi, che prevede tre balletti, a cura del Balletto di Milano, un'opera lirica, appunto La Bohème, e lo Stabat Mater di Rossini, con una cadenza che va da giugno a settembre del 2015, nel senso che, dopo alcuni spettacoli a giugno, si passerà poi direttamente a settembre con la replica degli stessi spettacoli e l'unica rappresentazione il 27 settembre dello Stabat Mater. Questo per fare chiarezza su quel che si intende con da giugno a settembre, e soprattutto per evitare di attribuire a tale Festival altre rappresentazioni che con esso non hanno nulla a che vedere.

Tale doverosa precisazione era necessaria per introdurne un'altra, di stampo strettamente giornalistico: riteniamo infatti che chi intende proporre al pubblico un Festival, per prima cosa debba premurarsi di pubblicizzarlo in maniera adeguata, onde evitare di ritrovarsi il teatro desolatamente semivuoto e tentare di recuperare almeno il denaro speso. Tale pubblicità è mancata nella maniera più assoluta: non un manifesto, a Catania e dintorni, non uno stacchetto sulle televisioni locali, e a Taormina pochissime locandine, minuscole e piazzate a casaccio, ma niente di più. Come giornalisti, abbiamo saputo di questo Festival tramite La Sicilia del 31 maggio 2015, con tempi piuttosto ristretti per una vera e propria pubblicità, dato che il primo evento era fissato per il 1 giugno, grazie ad un articolo-intervista ad Alberto Veronesi: ci siamo quindi attivati per contattare l'ufficio stampa, nella pia illusione che ce ne fosse uno.

Constatata l'assenza dell'ufficio stampa, abbiamo deciso, per dovere di cronaca verso i nostri lettori, e in ossequio alla filosofia del nostro periodico che si vanta di non avere finanziamento alcuno, di pagare di tasca nostra i biglietti: arrivati a Palazzo Corvaja, a Taormina, il 6 giugno, dopo aver pagato, senza nessuna riduzione per la stampa, abbiamo chiesto un depliant dello spettacolo, almeno per conoscere i cantanti e il regista. Nulla di nulla. Ci è stato dato solo un depliant con le date degli spettacoli, i prezzi e i circuiti, elettronici e non, presso i quali sarebbe stato possibile acquistare i biglietti: sempre per dovere di cronaca, c'era però un riferimento al sito dedicato ai beni culturali della Regione Siciliana. Da tale cartoncino si veniva a sapere soltanto che l'Orchestra e il Coro erano del Teatro Massimo Bellini di Catania, e che il direttore d'orchestra era Alberto Veronesi.

Entriamo in teatro, e continuiamo a cercare di sapere i nomi dei cantanti: buio assoluto. Inizia lo spettacolo: nessuno si degna di annunciare chi canterà. In seguito, riconosceremo soltanto la protagonista, Donata D'Annunzio Lombardi, e vedremo aggirarsi per la cavea Enrico Stinchelli, il celebre fustigatore de La Barcaccia, critico inflessibile, impietoso e indomabile nei confronti di cantanti, orchestre e registi lirici, siano essi di fama nazionale che internazionale.

Ci scusiamo sin d'ora con i cantanti, dato che l'organizzazione del Festival, che definire indecorosa è dir poco, ci ha messo nell'assoluta impossibilità di citarli. Qualora venissero a conoscenza di tale articolo, li invitiamo sin d'ora a contattarci per riparare a tale inammissibile, ma non volontaria, mancanza.

Passiamo adesso alla regia e alle scene, che presumiamo essere di Enrico Stinchelli, dato che alla fine della rappresentazione si è presentato allegramente sul palcoscenico accanto a Veronesi: siamo ormai abituati, con poche lodevoli eccezioni, a regie farneticanti, inconcludenti, stupide e inutili, ma non avevamo ancora visto una regia schizofrenica, capace di prendere a pugni e cazzotti non solo il libretto, ma anche se stessa.

Tutto il mondo sa che i quattro amici di Bohème non hanno il becco di un quattrino, ma l'ineffabile Stinchelli ha pensato bene di farli muovere in quello che aveva tutta l'aria di un sontuoso salone Liberty, con bellissime vetrate policrome, istoriate d'argento e con due donne floreali che per tutta l'opera hanno guardato (secondo me perplesse) lo scarno pubblico presente. Sì, perché tale architettura degna del salotto della baronessa Rotschild (sai quanto costerebbe di sola IMU!) è rimasta per tutta l'opera, tramutandosi, con molta buona volontà e immaginazione, nel ristorante Momus e nella barriera d'Enfer, con le lattaie che entravano in scena da una lussuosa vetrata! Incongruenza totale a parte, mi sembra di aver già visto da qualche parte queste scene…

Fin qui la regia faceva a pugni solo col libretto che parla di squattrinati che si dividono un'aringa in quattro, ma passava poi a fare a pugni con se stessa: sin dal primo quadro la giacca di pelle di Rodolfo e l'abbigliamento di Marcello lasciavano perplessi, ma Mimì era vestita come si doveva e non ci abbiamo fatto caso più di tanto. Ma al secondo quadro la schizofrenia si è manifestata in tutto il suo fulgore! Nell'ordine avevamo: coriste in abito da sera con spacco inguinale, signori in frac, coro di voci bianche (abbastanza cresciutelle) in jeans, Hogan e magliette, coriste vestite più o meno alla rinfusa con improbabili casacche fantasia su gonne corte, semicorte, longuette, un profluvio di tacchi altissimi, più o meno sparluccicanti, e infine una Musetta in mini abito attillatissimo con profonda scollatura, tacco 12, e mantella trapezoidale di moda alcuni anni orsono. Solo Mimì è rimasta vestita da sartina ottocentesca per tutti e quattro i quadri. Sempre per dovere di cronaca, Musetta nel terzo quadro indossava un completino minigonna di pelle vagamente sadomaso, e completino pantaloni attilatissimi, sempre di pelle, nel quarto. Insomma, tutti erano vestiti come capitava, in totale spregio del libretto, ma soprattutto con un effetto destruens nei confronti delle vetrate Liberty da sbellicarsi dalle risate.

Stinchelli, celebre per le sue stroncature al vetriolo, diventa molto accomodante quando si tratta di se stesso, spacciando al pubblico per allestimento scenico, il risultato di una rovistata fra armadi, guardaroba teatrali e magazzini degna più di un robivecchi che di un regista. Ho visto di meglio a certi spettacoli amatoriali, senza pretese e soprattutto non aspiranti a finanziamenti!

Passiamo alla parte musicale: l'orchestra del Massimo Bellini di Catania ha un'indubbia professionalità che ha confermato anche in tale difficile situazione. Il colore era buono, nonostante una disomogeneità di fondo della compagine, con il settore archi ridotto praticamente ai minimi termini, ed una preponderanza dei fiati che imprimeva sonorità talvolta eccessive, disturbando in maniera particolare nei momenti più lirici ed intimistici dell'opera. La scelta di non raddoppiare l'arpa non è stata delle più felici, insieme alla geniale trovata stinchelliana di far passare la banda del secondo quadro nello spazio tra l'orchestra e la tribunetta, trovata registica priva di ogni senso e logica.

Va detto anche che l'orchestra, ben rodata riguardo alla partitura, visto che Bohème è stata data pochi mesi or sono al Bellini di Catania, si è comportata né più ne meno che come le orchestre barocche, prima dell'avvento del direttore: dopo un primo quadro con alcuni attacchi più o meno precisi, hanno tranquillamente bypassato Veronesi evitando danni ben peggiori, e l'aspetto musicale ha almeno in parte mitigato le insulsaggini della regia, permettendo di concentrarsi sulla musica e sul canto più che sull'aspetto visivo.

Quanto ai cantanti, sono stati senza dubbio la parte migliore di uno spettacolo per altri versi da dimenticare: Mimì è stata deliziosa, evidenziando una voce limpida, sicura nelle mezze voci, dai bellissimi filati e soprattutto sempre ben coperta, e la sua disinvoltura scenica, come quella di tutti i protagonisti, ha senz'altro messo un freno alle stinchellate onnivaganti. Ottima la prova di Rodolfo, tenore dal bel timbro, sempre misurato, dalla sicura tecnica, attento più al canto che al dimostrare di avere potenza ed estensione di voce. Bellissimo il timbro di Marcello, e da manuale l'interpretazione di “Vecchia Zimarra” da parte di Collins. Musetta, mezzosoprano di notevole estensione e intensità di timbro, ha cantato con buona espressività, pur se la sua tecnica ha ancora bisogno di qualche aggiustamento, specie nell'emissione del fiato e nel controllo della voce.

Una Bohème tutto sommato dignitosa musicalmente, ma certo non in grado di reggere il confronto con le produzioni, rifinite e preziose, alle quali è abituato il pubblico di Taormina.

Giuliana Cutore

7/6/2015