Anna Bolena
inaugura la stagione lirica del Teatro Massimo Bellini di Catania
Se per Richard Wagner si è potuto parlare di un progetto ben definito, poi negli anni perseguito e portato a termine con puntigliosa caparbietà teutonica, riguardo alla celebre tetralogia dell'Anello del Nibelungo, strutturato nelle quattro tragedie liriche L'Oro del Reno, La Walkiria, Sigfrido e Il Crepuscolo degli Dei, lo stesso non può dirsi di quella che fu definita con felice eufemismo dallo studioso Piero Santi La tetralogia elisabettiana di Gaetano Donizetti, non voluta né coscientemente definita dall'autore italiano ma sicuramente del tutto involontaria e casuale, con le quattro opere che presentano vicende e personaggi della Casa Tudor: Elisabetta al castello di Kenilworth (1829), Anna Bolena (1830), Maria Stuarda (1834) e Roberto Devereux del 1837. Anche se è importante notare la strana coincidenza (quasi un omen ) che le quattro partiture siano state una riacquisizione da parte della Renaissance donizettiana, che ha segnato la seconda metà del 1900, di quattro opere dimenticate da più di un secolo: Anna Bolena tornò in scena a Bergamo nel 1956, Maria Stuarda ancora a Bergamo nel 1958, Roberto Devereux a Napoli nel 1964 ed Elisabetta al castello di Kelinworth al Festival di Camden nel 1977.
In tutte e quattro le donne protagoniste vivono fino alla fine le feraci dicotomie maschile-femminile, amore-odio, cuore-cervello, forza-debolezza, vita-morte, in una dialettica nella quale alla fine emerge in modo inequivocabile la nobile sagoma delle donna, elemento del quale il maestro Donizetti sembra prendere sempre le difese, in nome di un femminismo ante litteram che vede in quasi ogni maschio e ancor più se è un congiunto (padre, marito, fratello), il suo naturale e conseguente carnefice. Tale avrebbe dovuto essere la figura di Enrico VIII, alla quale purtroppo il basso Dario Russo non ha saputo imprimere la necessaria cupezza e nefandezza umana, sia da un punto di vista vocale che scenico, rimanendo sempre al di qua del personaggio che non riusciva a trovare una sua precisa caratterizzazione. Il soprano Rachele Stanisci, nel ruolo eponimo dell'opera, ha evidenziato non poche difficoltà nei passaggi di registro e soprattutto nella zona medio-bassa della sua tessitura, quasi mai limpida, tersa e rifinita. Il mezzo-soprano Josè Maria Lo Monaco riusciva a definire molto bene il profondo disagio emotivo e il pesante dissidio interiore di Giovanna Seymour, che affluiva e confluiva nella sua passionalità canora e nella sua corretta emissione fonica, sempre efficace, ben misurata e tecnicamente incisiva. Giulio Pellagra (Lord Riccardo Percy) e Emanuele Cordaro (Lord Rochefort, fratello di Anna) si rivelavano alquanto fuori ruolo, non riuscendo a far trasudare fino in fondo, sia vocalmente che scenicamente, tutta l'ambiguità e tragicità dei due personaggi che seguiranno la protagonista nel suo amaro destino. Il mezzosoprano Nidia Palacios nella parte en travestì del paggio Smethon non giungeva a rivestirne grazia gestuale e leggerezza vocale. Giuseppe Costanzo (Signor Harvey, ufficiale del Re) è intervenuto sempre in modo corretto, elegante e misurato.
Il maestro Antonio Pirolli ha diretto in modo certo equilibrato, ma non è riuscito a cesellare e segnare con coerenza il dramma esistenziale della regina, che ristagnava indolente sul palcoscenico, non trapassando nel parterre. Lo stesso dicasi per l'esangue regia di Marco Carniti, che esibiva al centro un tetro parallelepipedo, quasi un angusto ascensore a muro, dal quale entravano ed uscivano i vari protagonisti dell'opera. Le scene di Francesco Scandale e le luci di David Barittoni si collocavano e si fissavano su forme e figure asettiche e sterilizzate, sia per quanto riguardava lo sviluppo prospettico, sia per quanto riguardava la dinamicità cinetica e varietà spaziale delle scene.
Il non foltissimo pubblico intervenuto alla prima del 16 gennaio 2015 (turno A) dell'edizione curata dal Teatro Massimo Bellini di Catania ha tributato alla fine dello spettacolo cordiali applausi, più di cortesia che di reale e appassionata partecipazione simpatetica, evidenziando come si trattasse certo di uno spettacolo di routine e non frutto di condivisa concezione, elaborazione, collaborazione e alta qualità.
Giovanni Pasqualino
17/1/2015
Le foto del servizio sono di Giacomo Orlando.
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