Anna Bolena
alla Scala di Milano
Terza edizione di Anna Bolena di Gaetano Donizetti al Teatro alla Scala, nel quale pare che l'opera non trovi la giusta realizzazione e il successo che merita quale capolavoro della cosiddetta Trilogia Tudor. Dopo l'esordio memorabile del 1957 con Gavazzeni sul podio e un cast stellare, lo stesso spettacolo, di Luchino Visconti, fu riproposto nel 1982 nel venticinquesimo anniversario, in un burrascoso momento scaligero, per arrivare all'oggi con una proposta che alla prima ha suscitato proteste accese. Produzione “nata male” sin dalla programmazione, pare che il ruolo in titolo fosse stato offerto ad Anna Netrebko, la quale in seguito ha preferito rifiutare e accomodarsi nelle tre più tranquille recite de La Traviata. Non trovando altro nome blasonato si è deciso di puntare su un nome sconosciuto, affiancato da altre personalità musicali di nota esperienza. Resta un mistero l'uscita di scena di Bruno Campanella, direttore annunciato, sostituito senza annunci da Ion Marin. Infine, la scelta dello spettacolo che proveniva da L'Opéra National di Bordeaux (2014) ove non ebbe grande successo ma critiche piuttosto pesanti. Considerati i fatti, sarebbe stato più opportuno cambiare titolo, soprattutto perché il pubblico della Scala pretende molto dal suo teatro.
Passate le forti turbolenze della prima, alla quinta recita, alla quale ho assistito, tutto è filato liscio come accoglienza, non si cancellano invece le molte perplessità. In primo luogo lo spettacolo curato da Marie-Louise Boschofberger, la quale non trova una lettura drammaturgica accettabile ma si limita a illustrare una tragedia nello stile cartolina, senza un filo conduttore chiaro e soprattutto d'effetto. Assieme alla regista non aiutano sicuramente i costumi atemporali di Kaspar Glarner e soprattutto le scene discutibili di Eric Wonder, indeterminate, con ambienti poco realistici e bui, un incomprensibile rombo sghembo sul fondale che non lascia traccia, unico elemento azzeccato il trono, che ribaltato nel finale si trasforma nel patibolo. In quest'ambiente la mano della Bischofberger non trova idee particolari, e quando le realizza sono tutto sommato scontate, come quella di aggiungere una bambina-mima che impersona la piccola futura Elisabetta I. Ambientazione quasi unica, senza grandi momenti di teatro e anche nelle fasi concitate, finale I, nulla fa pensare alla tensione emotiva della protagonista. In definitiva uno spettacolo molto dozzinale e poco edificante sul piano teatrale come l'insensato velo nero che avvolge Bolena nel finale dell'opera.
Il direttore Ion Marin, il quale ha fornito nel corso della sua carriera performance molto rilevanti, non trova un terreno altrettanto fertile nel repertorio belcantistico. Infatti è stata una vera sorpresa trovare il suo nome in locandina. Marin inoltre applica una serie di tagli, cabalette senza daccapo e sforbiciate varie, che rendono l'opera molto debilitata nel suo spirito e nella stessa teatralità. L'orchestra e il Coro, diretto da Bruno Casoni, rispondevano con impegno e ottima professionalità ma la scansione dinamica, i tempi, ritmo e colori imposti dal direttore rendevano il capolavoro donizettiano molto ridimensionato e non soddisfacente.
La protagonista Hibla Gerzmava si può definire solo volenterosa. La voce è bella, le intenzioni anche apprezzabili in particolare nel fraseggio, ma gli accenti sono monotoni e tralascia molto passi importanti non mancando una buona musicalità solo nell'aria finale ma non nella cabaletta poiché il registro acuto è limitato.
Sonia Ganassi, Seymour, che a Parma aveva fatto una bella figura qui l'abbiamo trovata molto ridimensionata e il personaggio, sia interpretativamente sia vocalmente, era poco incisivo e sovente monotono. Ancor più perplessità ha destato l'Enrico VIII di Carlo Colombara, cantante che presumo stia passando un momento infelice poiché il canto era sfibrato e parlato, mancando di spessore e autorità convincenti.
Corretto il Percy di Piero Pretti, al quale manca una struttura tecnica più elevata per eseguire lo spartito difficilissimo, tuttavia riesce a essere accettabile anche con l'aiuto dei tagli effettuati. Professionale Martina Belli, Smeton, musicale ma con voce troppo chiara per il ruolo e latitante nel canto fiorito. Completavano la locandina il corretto Mattia Denti, Rocherfort, e il giovane Giovanni Sebastiano Sala, Harvey, allievo dell'Accademia Scala, che sarebbe da rivalutare in altra occasione.
Pubblico molto partecipe e caloroso di applausi con tutta la compagnia al termine, le turbolenze della prima erano ormai archiviate ma l'appuntamento con Anna Bolena alla Scala è rimandato.
Lukas Franceschini
26/4/2017
Le foto del servizio sono di Brescia e Amisano-Teatro alla Scala.
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