Senza tempo
Mettere a confronto un romantico “sperimentale” come lo Schumann della Seconda Sinfonia e un “moderno” ancora declinato in chiave passatista, quale era il giovane Busoni del Concerto per violino e orchestra, è un abbinamento ideale per Markus Stenz: direttore propenso al repertorio novecentesco e contemporaneo (un'empatia quasi paradigmatica con Janacek e Weill, molte “prime” mondiali di Henze e Glanert al proprio attivo), ma anche capace di restituire un Wagner asciutto, proiettato nel futuro, eppure tutt'altro che spogliato delle sue pulsioni romantiche. Dunque, il programma impaginato da Stenz in occasione del concerto con l'Orchestra Haydn di Bolzano e Trento (la recensione fa riferimento alla replica trentina) apre molti orizzonti drammaturgico-musicali, facendoli entrare in fertile dialettica fra loro: l'idea di un “nuovo classicismo” – da sempre cara a Busoni – che rielabori il passato senza rinnegarlo; il virtuosismo (si pensi alla scrittura violinistica del concerto busoniano) come fattore sempre espressivo e mai dimostrativo; il disagio psichico – Schumann aveva già iniziato a combattere con la sua malattia – tradotto non con l'ansia febbrile di una certa retorica romantica, ma in un corpo a corpo tra slanci di energia positiva e inquietudini tanto sottopelle quanto inarrestabili.
Niente leggìo sul podio (dirige a memoria) e niente bacchetta tra le dita (sono le mani nude e le braccia flessibilissime che tracciano agli orchestrali i percorsi della partitura), quindi in un rapporto fisico totalmente senza filtri con la musica, Stenz “racconta” tutto questo con un'ars al tempo stesso ermeneutica e maieutica: trovando perfetto corrispettivo dagli strumentisti (mai sentita la Haydn così appagante anche in termini meramente fonici) e, in Busoni, pure dalla solista. Francesca Dego si integra all'orchestra quale primus inter pares, duetta senza tentazioni centrifughe con la compagine dei violini, solo in pochi punti strategici abbandona la disciplinata cantabilità in favore del guizzo estravagante; mentre i due bis – Paganini e Bach – s'impongono soprattutto per un'asciuttezza di gusto priva di soverchie preoccupazioni stilistiche.
Tendenzialmente spazioso nei tempi (nell'Allegro moderato che apre il concerto di Busoni l'aggettivo sembra avere più peso del sostantivo), e proprio per questo poi trascinante in certe subitanee accelerazioni, Stenz descrive atmosfere e, con la medesima sapienza, sviscera dettagli: la densità semantica della reiterazione di certi incisi melodici schumanniani; le simmetrie, sempre nella Seconda Sinfonia, tra l'Allegro con cui inizia e quello con cui si conclude la partitura; il progredire senza soluzione di continuità tra primo e secondo movimento del concerto di Busoni, che trasforma i due segmenti in un sostanziale monoblocco. Mentre il flauto zen del portoghese Prashantam che ha aperto la serata (i concerti della Haydn hanno spesso questi prologhi musicali “etnici”) offre un'oasi di meditazione introduttiva. E rappresenta il miglior viatico per il male di vivere di Schumann.
Paolo Patrizi
13/3/2024
Foto Fondazione Haydn.
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